2024 年 74 巻 p. 49-74
Questo saggio intende indagare il progetto, poi non concretizzatosi, di presentare l’arte moderna italiana negli anni Venti del Novecento a Tokyo, in Giappone, sulla base di numerosi documenti inediti conservati presso l’Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale di Roma, integrando e rettificando in parte quanto pubblicato da chi scrive nel 2018, a partire dai soli scritti del politico e militare Ettore Viola. Tali documenti ministeriali sono conservati nella cartella dal titolo “Esposizioni d’arte” in Pos. XIV B/ Dal 1920 al 1929.
L’idea iniziale del progetto fu dell’allora ambasciatore del Regno d’Italia a Tokyo, Giacomo De Martino, e fu espressa nella sua lettera datata il 14 maggio 1923 indirizzata al Ministro degli Affari Esteri Benito Mussolini. De Martino era stato incoraggiato dalle circolari ministeriali n. 13 (del 22 febbraio 1923) e n. 34 (dell’11 aprile 1923), nonché dalle notizie ricevute dallo scultore italiano Ottilio Pesci, attivo nell’Estremo Oriente, e da Alfonso Gasco, console generale d’Italia a Yokohama. De Martino, volendo emulare le esposizioni già svolte a Tokyo da Francia, Belgio e Germania, propose di organizzare un’esposizione d’arte italiana nella primavera del 1924, assicurandosi però che il valore artistico e il numero delle opere esposte fossero superiori alle altre mostre citate. Tuttavia, il tremendo terremoto del 1 settembre 1923 che mise in ginocchio la zona di Tokyo, rese impossibile la realizzazione della mostra.
De Martino riprese l’idea della mostra, che era piaciuta a Mussolini, e in una sua lettera del 9 febbraio 1924 la propose per l’autunno dello stesso anno. Quest’idea fu accolta con entusiasmo sia dal Ministero degli Affari Esteri che da quello del Tesoro. L’ambasciatore intendeva esporre anche tre quadri di Giovanni Segantini e dodici sculture di Leonardo Bistolfi che allora facevano parte della collezione di Kōjirō Matsukata, e che sono attualmente conservati presso il Museo Nazionale dell’Arte Occidentale di Tokyo. In seguito, il 12 marzo 1925, il ministro Mussolini nominò il critico d’arte Ugo Ojetti Commissario del Governo per l’Esposizione e l’architetto e critico d’arte Roberto Papini Segretario Generale dell’Esposizione. Entrambi insistettero per anticipare la mostra al mese di ottobre 1925, invece che a novembre, come proposto da Seishin Hirayama, Vice-Direttore della Società degli Artisti Giapponesi, il quale possedeva l’unico palazzo disponibile per le esposizioni sopravvissuto al terremoto. Inoltre Ojetti puntò il dito contro le incomprensioni e la preparazione insufficiente del comitato organizzatore giapponese, il quale, secondo il critico italiano, non riconosceva appieno il valore della mostra proposta dal Regno d’Italia. I due comitati, quello giapponese e quello italiano non riuscirono a trovare un punto d’accordo circa il mese dell’inaugurazione; fu così che il progetto della mostra venne sospeso nel luglio 1926 per la seconda volta.
Il politico e militare Ettore Viola, fuggito in Cile il 18 dicembre 1926 dopo aver votato contro il partito fascista, ebbe l’idea di organizzare una mostra-vendita di opere di alcuni pittori italiani moderni che Viola stesso aveva preso in prestito al momento della partenza dall’Italia; ne inaugurò una in Cile, che però finanziariamente si rivelò un fallimento, in quanto ebbe il risultato di coprire appena il costo del viaggio e dell’organizzazione della mostra. Su consiglio del Console Generale italiano a San Francisco, Viola decise di recarsi in Giappone. Il Sottosegretario di Stato, Giacomo Suardo, scrisse una lettera di raccomandazione datata 22 giugno 1927, in cui dichiarò quanto segue: “L’on. Viola, come V. E. [Garbasso, l’ambasciatore del Regno d’Italia a Santiago del Cile] ricorderà, aveva guidato in principio
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