Studi Italici
Online ISSN : 2424-1547
Print ISSN : 0387-2947
ISSN-L : 0387-2947
Volume 59
Displaying 1-25 of 25 articles from this issue
  • Article type: Cover
    2009 Volume 59 Pages Cover1-
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS
    Download PDF (39K)
  • Article type: Cover
    2009 Volume 59 Pages Cover2-
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS
    Download PDF (39K)
  • Article type: Index
    2009 Volume 59 Pages Toc1-
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS
  • Article type: Appendix
    2009 Volume 59 Pages App1-
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS
    Download PDF (849K)
  • KATSUAKI KURASHIGE
    Article type: Article
    2009 Volume 59 Pages 1-22
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS

    Una peccatrice (1866) e la prima opera verghiana del cosiddetto "ciclo mondano" ed e nel contempo un'opera di transizione, in cui coesistono caratteristiche narrative che si trovano gia nelle opere precedenti e nuovi orientamenti. In questo articolo si tenta di individuare il tentativo verghiano di sperimentare nuove forme narrative all'interno del racconto. Anzitutto, per ottenere i presupposti attraverso i quali analizzare questa opera, si prendono in esame le caratteristiche narrative delle opere precedenti, i cosidetti romanzi catanesi. In queste opere, il narratore e onnisciente, trascende il tempo e lo spazio del mondo narrato e spiega in dettaglio perfino eccessivo le scene, possiamo percio sostenere che, per il Verga catanese, gli elementi costitutivi dell'opera devono essere esposti al lettore nella loro completezza. Il narratore si immedesima in ogni personaggio e ne descrive l'intimita servendosi talvolta del discorso indiretto libero. Tale onniscienza arriva al punto di compromettere la stabilita della posizione del narratore stesso, finendo con il trascurare il contesto. Nel prologo di Una peccatrice, al narratore viene invece assegnato il ruolo di coordinatore dei fatti, stabilito come "io" narratore omodiegetico ed insieme extradiegetico, in quanto estraneo alla storia d'amore di Pietro e Narcisa. Pertanto il ruolo intermediario di Raimondo, che offre all'"io" il materiale dell'opera, risulta significante e influente sulle espressioni del narratore. Il "noi" del narratore nella storia stessa assume una qualita doppia, che implica l'instabilita della sua natura. In molti casi, inoltre, it "noi" appare nei cambiamenti di scena. In questo caso si notera che l'atteggiamento di Verga realizza la narrazione attraverso il discorso da parte del narratore onnisciente posto a livello metanarrativo, come nei romanzi catanesi. In Una peccatrice, it punto di vista del narratore e stabilito costantemente nel protagonista Pietro, ad esclusione del capitolo VIII che ha forma epistolare. La storia si svolge attraverso i suoi atti e le sue parole. Il fatto che il punto di vista del narratore sia stabilito in questo modo garantisce la coerenza dello svolgimento della storia. La descrizione minuta dell'interiorita e limitata, in generale, a quella di Pietro e condotta, in molti casi, in modo soggettivo. Il discorso indiretto libero si applica solo a Pietro e funziona come suo monologo. Viceversa, l'interiorita degli altri personaggi e descritta in modo relativamente obiettivo senza comportare l'immedesimazione del narratore in ciascuno di loro. La differenza fra queste due descrizioni lascia intravedere la limitazione dell'onniscienza e deve essere intesa come una svolta verghiana dal narratore onnisciente. A causa di tale limitazione, pero, Verga e costretto ad affidare la descrizione dell'intimita di Narcisa nel capitolo VIII alla forma epistolare. La prima lettera di questo capitolo e scritta da Pietro, che racconta in prima persona la parabola del proprio amore e non possiede efficacia perche fin qui tutta la storia e raccontata dal suo punto di vista. Si puo pensare quindi che Verga voglia rappresentare in questo capitolo le vicissitudini della vita intima di Narcisa. L'inserimento della forma epistolare deriva da due elementi, uno e l'inevitabile difficolta di descrivere in modo diretto e soggettivo l'interiorita degli altri personaggi se il punto di vista del narratore risiede nel personaggio di Pietro, e l'altro e l'attaccamento di Verga all'onniscienza del narratore che tende a descrivere tutti gli elementi della storia. Fin dall'esordio, Verga e consapevole della necessita di una descrizione psicologica che porti ad immedesimarsi nella vita intima dei personaggi. In Una peccatrice, il cui epilogo e il suicidio di

    (View PDF for the rest of the abstract.)

    Download PDF (1425K)
  • MOTOKO MAKINO
    Article type: Article
    2009 Volume 59 Pages 23-51
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS
    Tabucchi, in un articolo apparso su un quotidiano (<<Io, scrittore, come in uno specchio>>, Corriere della sera, 4 febbraio 1990), dichiara che Notturno indiano (1984) e un libro autobiografico, in cui l'io narrante e l'autore stesso in un determinato momento della sua vita. Varie interpretazioni di quest'opera sono state suggerite da Tabucchi stesso nel racconto La frase che segue e falsa. La frase che precede e vera (da ora in poi abbreviato in LF) contenuto nell'opera I volatili del Beato Angelico (1987). LF e un racconto in forma epistolare, costituito dal carteggio tra Tabucchi e il teosofo Xavier Janata Monroy, da cui prende il nome l'uomo ricercato dal protagonista di Notturno indiano. Questo racconto puo mostrare una doppia valenza, quale opera indipendente da un lato e quale chiave interpretativa per la scoperta di una storia all'interno di un'altra storia, dall'altro. Nella 'Nota', posta a prefazione di Notturno indiano, Tabucchi scrive: <<questo libro, oltre che un'insonnia, e un viaggio. L'insonnia appartiene a chi ha scritto il libro, il viaggio a chi lo fece>>. Da questa 'Nota' si evince che, oltre all'autore Tabucchi, che compie effettivamente un viaggio in India, e al protagonista della storia, c'e un altro personaggio, un viaggiatore la cui azione e descritta col verbo al passato remoto. Questo viaggiatore rappresenta il poeta portoghese Fernando Pessoa, oggetto della ricerca letteraria di Tabucchi. Sulla base delle due opere Piccoli equivoci senza importanza (1985) e Rovescio (Il gioco del rovescio) (1981), mandati da Tabucchi al teosofo Monroy in LF, e possibile far emergere, al di sotto della storia apparente di Notturno indiano, una seconda storia, celata da nomi camuffati e da giochi interlinguistici, da giochi di parole fondati su polisemia e sinonimia e da espressioni equivoche, secondo una tecnica usata nella letteratura marrana iberica del Cinquecento, uno dei generi letterari di cui Tabucchi si e occupato nel periodo degli studi universitari. Nella storia del <<rovescio>>, l'autore Tabucchi segue il viaggio del pensiero metafisico di Pessoa e attraverso questo suo cercare di comprendere profondamente il poeta, viene ad acquisire coscienza della propria missione come scrittore. Notturno indiano puo quindi essere ritenuto un viaggio attraverso il quale Tabucchi si dedica allo stesso tempo alla ricerca del poeta Pessoa e di se stesso: Pessoa non e dunque solo una citazione, ma anche un tema nascosto. Profondo conoscitore dell'opera di Pessoa, Tabucchi compie un viaggio in India alla ricerca di qualche traccia dei pensieri metafisici del poeta portoghese, allo scopo di avvicinarsi maggiormente alla sua figura reale. La profonda risonanza dell'universo romanzesco di Pessoa conservata tanto in Notturno indiano che nelle altre opere non solo conferisce vitalita alla narrazione, ma constituisce anche la testimonianza del fatto che l'autore ha trovato la propria identita di letterato. Nello stesso tempo, cosciente del destino degli ebrei costretti alla duplicita, <<dentro>> e <<fuori>>, <<diritto>> e <<rovescio>>, si accorge anche della propria duplicita. Soprattutto dopo il viaggio in India, Tabucchi, determinato a correggere questa sua duplicita, decide di non conformarsi ne ai regimi antidemocratici ne ai dittatori ne alle idee totalitarie e diventa uno scrittore che registra in forma di letteratura le voci e le memorie della gente sepolta nell'ombra della Storia scritta dall'autorita. Questa determinazione, dieci anni dopo la pubblicazione di Notturno indiano, portera alla creazione dell'opera a tema politico Sostiene Pereira (1994).
    Download PDF (1908K)
  • ENRICO FONGARO
    Article type: Article
    2009 Volume 59 Pages 53-70
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS
  • SHUNSUKE SHIRAHATA
    Article type: Article
    2009 Volume 59 Pages 71-96
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS

    L'oggetto di questo lavoro e l'influenza esercitata da Francesco di Giorgio Martini (1439-1501) sulla fortificazione alla moderna dal punto di vista della sua teoria della fortificazione e l'urbanistica. Si intende inoltre esplicitare la logica che presiede ad entrambe nei suoi Trattati di Architettura. I due principi su cui egli baso i progetti per fortificazioni e mura di citta sono la forma antropomorfa e la difesa contro le armi da fuoco. Egli aveva tradotto il De architectura vitruviano studiandone attentamente la teoria ed apprendendo da questo l'antropomorfismo, senza peraltro mai accettarlo dogmaticamente, ma applicandolo sempre al disegno pratico. Cosi, il torrione e la cittadella, paragonati alla "testa", vengono costruiti nel punto piu debole della fortezza e della citta, corrispondente nel suo insieme al "corpo umano". Per organizzare efficacemente la difesa di questo punto, Francesco progetto di concentrarvi gli edifici difensivi, le armi e le guardie, determinando il luogo in cui si trova la "testa" della fortificazione e la direzione di difesa tenendo conto delle condizioni del terreno e della situazione politica della citta stessa. Per es., rocche che si trovano sulla cima di monti come San Leo e Monte Sant'Angelo di Gargano devono essere fortificate in direzione del percorso che sale al monte, mentre rocche costiere come Gallipoli rivolgono il torrione contro l'invasione da terra. In una citta in cui si annida il dubbio del tradimento come Fossombrone, la cittadella rivolge il maschio verso la citta e guarda in direzione dei cittadini. Anche la disposizione relativa tra la cittadella e la citta stessa segue l'organizzazione del corpo umano nella disposizione tra il torrione e la fortezza. L'analogia della fortificazione con il corpo umano non rappresenta una semplice somiglianza formale, ma stabilisce una disposizione tattica atta alla difesa della fortezza e la citta. Nonostante l'affermazione di Vitruvio sulla estrema forza delle mura di forma tonda, Francesco respinse le fortezze e le mura tonde nei suoi Trattati. La cinta di San Costanzo da lui costruita segue, come le altre fortezze, la forma del corpo, ma mostra come Francesco abbia accolto l'antropomorfismo di Vitruvio rifiutandone la maniera di fortificare. Egli riteneva difficile difendere le mura tonde attraverso il "fiancheggiamento" (un metodo di difesa delle mura attraverso spari dalle feritoie situate ai fianchi di torri contigue) e per questo evito la forma rotonda per le mura della fortezza e per la citta. Anche Vitruvio aveva descritto l'idea del fiancheggiamento nel De architectura, suggerendo di costruire torri contigue piu vicine che ne permettessero una solida difesa per le frecce, ma Francesco preferi intervallare le torri in modo che non subissero danni da parte delle armi da fuoco. Presupponendo l'impiego di queste ultime, egli riconsidero l'idea del fiancheggiamento vitruviana, mostrando di attribuire maggiore importanza alla razionalita nell'ingegneria militare. Questa e la ragione dell'adozione dell'antropomorfismo nella pianta della fortezza: ritenendo che la fortezza, o piccola citta, dovesse essere piu forte che grande, Francesco non progetto di difendere tutta la cinta muraria, ma solo il punto essenziale, dal momento che per la difesa puo essere sufficiente anche una fortificazione piu piccola. Questo tipo di considerazioni lo indusse ad accogliere l'antropomorfismo, senza il quale non avrebbe potuto progettare la difesa di una fortezza o una citta attraverso una fortificazione di piccole dimensioni, ma a rifiutare le mura tonde, perche la razionalita militare non poteva ignorare l'efficacia del fiancheggiamento e della difesa del punto essenziale. Possiamo percio concludere che l'influenza di Francesco di Giorgio sulla fortificazione alla

    (View PDF for the rest of the abstract.)

    Download PDF (1802K)
  • SHIDAYO HAYASHI
    Article type: Article
    2009 Volume 59 Pages 97-117
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS

    Questo lavoro esamina l'influenza delle illustrazioni presenti nel testo De Divina Proportione di Luca Pacioli sulle tarsie lignee di Fra Giovanni da Verona. Il volume matematico, che venue pubblicato nel 1509 a Venezia dallo stampatore Paganino de' Paganini, contiene 59 illustrazioni in xilografico di poliedri per le quali Leonardo da Vinci forni i propri disegni originali cromatici. Fra Giovanni da Verona, un monaco benedettino olivetano (Verona, 1456/57-1525), e considerato uno degli intarsiatori piu straordinari del periodo rinascimentale. Fra Giovanni esegui le tarsie di cori e sagrestie destinati a conventi olivetani in tutta Italia. Le sue opere piu importanti possono oggi essere ammirate nel coro dell'Abbazia di Monte Oliveto Maggiore a Buonconvento (Siena), nel coro e nella sagrestia di Santa Maria in Organo di Verona e nel coro moderno nella Cattedrale di Lodi. Le tarsie rappresentano vari motivi legati a temi della natura morta, come ad esempio libri, frutta, arredi liturgici, ma anche animali e paesaggi. Fra questi, particolarmente significativi sono 11 poliedri di 8 tipi diversi, fra cui il cubottaedro (cuboctahedron), l'icosaedro (icosahedron) e l'icosaedro troncato, i poliedri a settantadue facce ed altri, in cui l'effetto chiaroscurale e la prospettiva conferiscono alle tarsie un'apparenza tridimensionale. In questi poliedri si puo cogliere una quasi perfetta corrispondenza con alcune delle figure inventate da Leonardo per le illustrazioni del De Divina Proportione. Ricerche precedenti hanno evidenziato i collegamenti esistenti fra tali disegni e le tarsie di Fra Giovanni, tuttavia, si ritiene che tali rapporti manchino ancora di una spiegazione dettagliata e di una discussione approfondita dell'influenza dei primi sulle seconde. In questo lavoro si intende dimostrare, in primo luogo, come i disegni leonardeschi del De Divina Proportione fossero nuovi e originali all'interno della storia della rappresentazione dei poliedri. In secondo luogo, si intende chiarire la posizione di Fra Giovanni nella sua rapida risposta all'originalita dei disegni e nell'intuizione da lui mostrata nei confronti della forma in quanto intarsiatore. L'innovazione apportata da Leonardo consiste nell'espressione delle forme tridimensionali in una versione "vacua" (cioe con i soli spigoli), che permette all'osservatore una comprensione realistica della struttura dei poliedri, la cui composizione fino a quel momento rimaneva difficile da afferrare. La bellezza della forma, il mistero e il senso di realismo trasmessi dalle strutture tridimensionali nella versione "vacua" sono stati percepiti intuitivamente da Fra Giovanni come cheo potenziale utile a mettere in evidenza effetti visivi particolari per le tarsie di legno. I poliedri di Fra Giovanni vengono interpretati come formulazione di una visione metafisica del mondo e come dimostrazione della bellezza dell'espressione visiva della metafisica attraverso le teorie matematiche, che stabilivano una connessione fra il mondo dell'apparenza e la realta ad esso sottostante. Mentre le tarsie lignee coeve rappresentano l'influenza del simbolismo platonico (in quanto dimostrazione del collegamento fra i poliedri e gli elementi dell'universo), nelle tarsie di Fra Giovanni tale simbolismo non sembra manifestarsi. Una possibile interpretazione di questa mancanza puo essere formulata vedendo l'interesse dell'artista concentrarsi non tanto sul simbolismo platonico, quanto piuttosto sulla possibilita degli effetti visivi insita nei disegni di Leonardo. Verso la seconda meta del XVI secolo, l'espressione visiva dei poliedri stava dando vita a feconde discussioni negli impianti teorici sulla prospettiva nel contesto della costruzione geometrica e molte variazioni cominciavano a scaturire dalle illustrazioni della De Divina

    (View PDF for the rest of the abstract.)

    Download PDF (1376K)
  • KENICHI UCHIDA
    Article type: Article
    2009 Volume 59 Pages 119-135
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS

    L'adorazione dell'eroe e uno dei motivi fondamentali della letteratura dannunziana: per D'Annunzio, infatti, l'eroe e la figura ideale dell'uomo il cui valore trascende il tempo. Tuttavia, il poeta, ben consapevole dell'anacronismo insito nel tentativo di risuscitare l'eroe dell'antichita nel tempo moderno, fa di questo contrasto fra il mondo <<vero>> e il mondo <<falso>> il nucleo tematico delle sue opere. Dal punto di vista terminologico, e opportuno premettere che attraverso i termini <<vero>> e <<falso>> intendiamo designare rispettivamente il mondo antico in cui l'eroe vive degnamente e il mondo moderno in cui si trova invece a vivere da emarginato. Piu che l'amore (1906) descrive crudamente il conflitto che viene a crearsi tra l'eroe di stampo antico e la societa moderna. Il protagonista, l'esploratore africano Corrado Brando, non viene apprezzato nel mondo <<falso>> della borghesia nonostante la gloria dell'impresa compiuta. Insoddisfatto, cerca di trovare il denaro necessario a recarsi nuovamente nel suo mondo <<vero>>, cioe in Africa, ma non ci riesce, e l'epilogo lo vede uccidere it baro che lo ha sconfitto al gioco. Questo atto, che viene certamente giudicato colpevole nella societa borghese, rappresenta invece per Corrado il simbolo della lotta eroica per trasformare il mondo <<falso>> in quello <<vero>>. Riteniamo che la speranza nutrita da Corrado nel mondo <<vero>> si rispecchi nelle <<nuove Erinni>>, piu volte da lui invocate nella parte finale della tragedia. Queste non sarebbero l'emblema della societa borghese che opprime Corrado, come alcuni studiosi sostengono, ma le dee che proteggono il mondo <<vero>> e riconoscono in Corrado un eroe. Allo scopo di individuare il significato delle <<nuove Erinni>>, in questo studio si esaminano le precedenti opere dannunziane in cui si trovano riferimenti ad esse. Nelle due novelle veriste, Gli idolatri (1884) e L'eroe (1885), le Erinni non sono nominate esplicitamente, ma la comunita primitiva che D'Annunzio descrive e molto simile al mondo <<vero>> ed e degna di essere governata dalle Erinni. In questa prospettiva, i membri di quella comunita i quali agiscono istintivamente costituirebbero il prototipo dei vari eroi dannunziani. Nel discorso elettorale Agli elettori di Ortona (1897), D'Annunzio parla dapprima dell'origine della sua adorazione dell'eroe, ricordando la propria infanzia. Lancia poi invettive contro il governo italiano che avrebbe distrutto la Bellezza dell'Italia sia materialmente che spiritualmente e subito dopo, come per esaltare il contrasto tra il mondo <<vero>> e quello <<falso>>, comincia a raccontare le vicende dei militari che hanno combattuto eroicamente a Macalle in Etiopia. Invoca infine l'Erinni perche punisca il mondo <<falso>> che ha ingiustamente violato il mondo <<vero>>. Nella Laus vitae (1903) D'Annunzio espone la visione del mondo che ha maturato nel corso di anni di intenso lavoro. Tra i numerosi episodi presentati, spicca per la sua importanza quello della Cappella Sistina, definita come <<dominio di violenza/e di dolore immortale,/sublimita del Male>>: espressione del mondo <<vero>> in cui si puo vivere eroicamente. Altrettanta importanza puo essere attribuita all'episodio della Via Aurelia, net quale l'io protagonista incontra persone che continuano a vivere come gli antichi. Fuori della citta <<falsa>>, l'io ama <<l'animale umano/[...] che divora, s'accoppia,/urla, combatte, uccide,/inconsapevole e vero>> e se ne rallegra, perche si sente vicino al mondo <<vero>>. Infine, nella

    (View PDF for the rest of the abstract.)

    Download PDF (1177K)
  • YOSUKE SHIMODA
    Article type: Article
    2009 Volume 59 Pages 137-161
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS

    Nella sua prima raccolta, Dialogo dei massimi sistemi, Tommaso Landolfi tratta frequentemente-spesso allusivamente-le poetiche a lui contemporanee. Da questo punto di vista, riteniamo importante condurre un'analisi sul racconto da cui prende il titolo la raccolta, in cui si discute "un problema estetico", ossia il valore estetico delle poesie scritte in una lingua inventata. In questo articolo si cerca innanzitutto di seguire attentamente lo svolgimento del racconto nel suo processo dinamico e, analizzando la struttura del dialogo, far emergere la ragione della scelta del titolo stesso: vi verranno infatti messi in luce i legami con il Dialogo dei massimi sistemi di Galilei. Il dialogo si svolge fra tre personaggi: l'io narrante, che si puo considerare portavoce delle opinioni di Landolfi, un poeta chiamato Y, autore di alcune poesie, e un "grande critico" la cui teoria estetica e assimilabile a quella dell'epoca, l'ermetismo, poetica tendente a dichiarare l'assolutezza della poesia. Nella discussione, l'io narrante si oppone al "grande critico" con un ragionamento rigoroso basato su un concetto linguistico simile a quello sausurriano: un'opera d'arte, corrispondente alla parole saussuriana, e realizzabile e giudicabile soltanto attraverso un complesso di norme, la langue. Il poeta Y, d'altra parte, mette in difficolta la tesi del critico spingendola alle estreme conseguenze e costringendolo ad ammettere che perfino le sue poesie rientrano nella definizione di opera d'arte. Il fatto che le opinioni dei due amici si contrappongano a quelle del "grande critico" ci induce a pensare che il personaggio del poeta Y rappresenti l'alter ego dell' "io"-Landolfi. A questo punto possiamo individuare la corrispondenza tra il dialogo landolfiano e quello galileiano: anche in quest'ultimo infatti compaiono tre personaggi, dei quali i due rappresentanti della posizione dello scienziato, Salviati e Sagredo, difendono il sistema copernicano contro il terzo, Simplicio, sostenitore del sistema aristotelico-tolemaico. In questo lavoro si presenta l'ipotesi che il titolo del racconto landolfiano abbia un doppio senso. In primo luogo lo riteniamo un titolo ironico dal momento che l'argomento del dialogo e minuscolo rispetto alla grandiosita del titolo. In questo senso l'interpretazione puo essere avvalorata anche dalla citazione che il "grande critico" trae dai Promessi Sposi per definire la disputa in corso, "una guerra d'ingegni cosi graziosa", frase che, all'interno del romanzo, si riferisce ironicamente al dibattito insignificante sulla cavalleria. In secondo luogo, il titolo intenderebbe alludere a una concezione "copernicana", ossia relativistica, dell'arte, secondo la quale un'opera d'arte non puo essere assolutamente autonoma, ma dev'essere sempre relativa a un complesso di norme. La teoria letteraria del "grande critico" e le poesie dell'amico Y sono ascrivibili alle correnti poetiche in voga intorno al 1930-1940. Attribuendo un ruolo importante a concetti salienti come l'indipendenza assoluta dell'opera d'arte e la predilezione per le parole suggestive e oscure, la teoria del "grande critico" puo essere assimilata all'ermetismo-versione italiana della poesie pure-, fiorita soprattutto a Firenze, dove Landolfi si formo come scrittore. Per provare questa ipotesi, prendiamo in considerazione da una parte Letteratura come vita di Carlo Bo, il cosiddetto manifesto dell'ermetismo, estraendone il concerto principale, e dall'altra una poesia di Quasimodo, come esempio di poesia ermetica. Identificando il "grande critico" con un esponente dell'ermetismo, pensiamo alla possibilita di sovrapporre alla sua figura quella di Croce, al quale si

    (View PDF for the rest of the abstract.)

    Download PDF (1588K)
  • TAKESHI KURASHINA
    Article type: Article
    2009 Volume 59 Pages 163-182
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS

    In questo articolo si prende in esame la figura di Francesco Cripsi attraverso tre autori del periodo dell'Italia liberate e fascista: lo scrittore Enrico Corradini (1865-1931) e gli storici Benedetto Croce (1866-1952) e Gioacchino Volpe (1876-1971). Il primo, figlio di piccoli possidenti, ebbe occasione di osservare direttamente la vita degli emigrati italiani in Sudamerica. Il secondo, appartenente ad una famiglia di grandi proprietari terrieri, si distinse per la sua alta cultura. Il terzo, invece, nato in una famiglia meno abbiente rispetto agli altri due, divenne un grande storico. Il primo a descrivere Crispi fu Corradini nel suo romanzo Guerra lontana (1911). Qui il <<ministro>> appare come un eroe triste che prosegue la guerra coloniale, la fallisce, perde il sostegno del popolo italiano e abbandona la carriera politica. L'autore, attraverso i suoi personaggi, un <<poeta>> e un <<giornalista>>, trasmette ai lettori l'idea nazionalistica, ispirata dal <<ministro>>. Tale idea, tramite il <<giornalista>>, viene successivamente fusa con il sindacalismo nella Patria lontana (1910). Anche Croce rappresenta Crispi con simpatia, difendendolo dall'accusa di <<megalomania>> scagliatagli contro dal giornalismo evidenziando, nella Storia d'Italia dal 1871 al 1915, il suo lato <<illuministico>>. Oltre a questa difesa, il filosofo napoletano ne apprezza l'azione di politica interna, come la riforma della legge comunale e provinciale e il nuovo codice penale. Nonostante cio, Croce definisce il periodo crispino un fallimento politico e apprezza l'eta giolittiana, non potendo chiudere gli occhi sull'impresa d'Africa e sulla <<lotta di sterminio contro il socialismo>>. Volpe, invece, accetta la parola <<megalomania>> dandole in varie occasioni un'interpretazione positiva. Una di queste riguarda l'idea risorgimentale di Crispi: unire i sette paesi d'Italia e trasferire la capitale da Torino a Roma. Volpe critica Croce in modo molto severo. Nella sua Italia in cammino (3゜ed. 1931) afferma: <<La Storia d'Italia di Benedetto Croce non ha risposto all'attesa, forse di nessuno>>, si rivela artificiosa e inadeguata a creare un'immagine <<genuina>> dell'Italia d'allora. Crispi vi appare solo come uno dei <<disturbatori e deviatori>>, mentre fu in realta in grado di creare il governo a cui tutti gli italiani aspiravano. Volpe, descrivendo il periodo tra il Risorgimento e la prima guerra mondiale, invece di evidenziare l'eta giolittiana, pone l'accento sul periodo crispino come ad <<un nuovo orientamento di rapporti economici e di politica economica>> o addirittura come <<un nuovo e piu sostanzioso Risorgimento>>. La storia d'Italia di Volpe e quasi la versione rovesciata di quella di Croce. Per Volpe la politica tentata da Crispi non deve essere dimenticata ma proseguita e ripresa. L'Italia deve seguire ideali originali, ma non quelli illuministici, tanto e vero che Volpe apprezza Crispi per aver respinto proprio quei principi. Nel Francesco Crispi (1928) Volpe cita le parole del politico siciliano: <<La rivoluzione francese ci schiaccia>>: per il politico siciliano quegli ideali, ancora troppo presenti nello spirito degli italiani, impedivano loro di andare avanti. Volpe, ispirandosi alle idee di Crispi, concepisce il Risorgimento come qualcosa di profondamente diverso dagli ideali illuministici: il Risorgimento e collegato con il fascismo tramite l'immagine di Crispi, esaltato come primo uomo di governo a nutrire grandi ambizioni per il suo paese. I suoi principi, per lo storico abruzzese, furono fonte di ispirazione per i fascisti, unico "popolo" in grado di capirlo a fondo e seguirlo. Volpe

    (View PDF for the rest of the abstract.)

    Download PDF (1249K)
  • MASAO NOMURA
    Article type: Article
    2009 Volume 59 Pages 183-208
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS

    Il presente saggio si prefigge di mettere in luce come Pier Paolo Pasolini, autore che si esprime sia mediante la letteratura (poesia e romanzo) sia mediante il cinema, considerasse la sceneggiatura, da lui ritenuta importante forma intermedia di collegamento tra i due mezzi espressivi. Il nostro scopo e quello di aggiungere un tassello, per quanto piccolo, alla comprensione ancora incompleta in Giappone di un autore cosi complesso. Pasolini intrattiene i primi contatti con il mondo attraverso la sua collaborazione alla sceneggiatura de La donna del fiume di Mario Soldati nel 1953. Da allora, se si comprendono anche quelle non realizzate, si occupa di 36 sceneggiature, quasi tutte concentrate nel periodo che va fino al 1962. Questo lavoro di sceneggiatore, che fa soprattutto per vivere, provoca in Pasolini autore due tipi di insoddisfazione: uno e il sentirsi "insabbiato" nel sistema spesso adottato di far scrivere la sceneggiatura a piu mani e l'altro, nel caso fortunato in cui possa scrivere da solo, il vedere sfasata nella pellicola l'immagine concepita in fase di scrittura. Si trova cioe nella situazione antinomica di "artigiano" che deve applicarsi al lavoro commissionatogli e di "artista" che mira a ottenere la propria espressione personale. Questo conflitto, unito alle sue esperienze come regista, lo induce a riflettere sulla natura della sceneggiatura. I suoi pensieri si condensano nel saggio del 1965 La sceneggiatura come "struttura che vuol essere un'altra struttura", in cui Pasolini giunge alla conclusione originale che la sceneggiatura "puo essere considerata una 'tecnica' autonoma, un'opera integra e compiuta in se stessa". Quando un autore adotta la "tecnica" della sceneggiatura, accetta come struttura della sua "opera in forma di sceneggiatura" l'allusione a un'opera cinematografica "da farsi". Struttura, questa, che non esiste in altri prodotti letterari e che comporta una collaborazione particolare da parte del lettore. Nella sceneggiatura infatti il "segno" allude al significato secondo la strada percorsa comunemente delle lingue scritte e nel contempo allude allo stesso significato rimandando al film da farsi. L'autore di una sceneggiatura ha quindi necessita di chiedere al lettore una partecipazione assai piu intensa di quella richiesta per esempio da un romanzo. Senza questa operazione di collaborazione, la sceneggiatura appare incompleta, dal momento che l'incompletezza ne rappresenta un elemento stilistico. Con l'intervento attivo del lettore diventa dunque completa, generando in modo quasi automatico la visualizzazione del film da farsi. Nella sceneggiatura, cioe, oltre al "grafema" e al "fonema", agisce a livello della coscienza del lettore un terzo elemento essenziale, quello del "cinema". Pasolini definisce i cinemi come "immagini primordiali, monadi visive", che si staccano dagli altri due elementi, diventano autonome e, coordinandosi, costituiscono un sistema di "im-segni" a parte. Fondamentale e il fatto che la struttura della sceneggiatura e dinamismo puro, tensione che si muove dalla struttura stilistica narrativa della letteratura verso la struttura stilistica del cinema. Questo dinamismo permette, nella sceneggiatura, di definire in termini strutturali i due stadi, la struttura letteraria e quella cinematografica, e nel tempo stesso di rivivere empiricamente il passaggio dall'uno all'altro. Il saggio qui esaminato considera gli aspetti strutturali della sceneggiatura analizzandone la peculiarita in modo del tutto teorico. E percio possibile ricevere l'impressione che l'argomento non sia stato del tutto sviscerato e per questa ragione alcuni studiosi hanno effettivamente parlato di punti deboli nella teoria pasoliniana. Tuttavia,

    (View PDF for the rest of the abstract.)

    Download PDF (1712K)
  • BERTELLI GIULIO ANTONIO
    Article type: Article
    2009 Volume 59 Pages 209-236
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS
  • Article type: Bibliography
    2009 Volume 59 Pages 237-263
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS
    Download PDF (1120K)
  • Article type: Appendix
    2009 Volume 59 Pages 264-
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS
    Download PDF (18K)
  • Article type: Appendix
    2009 Volume 59 Pages 265-268
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS
    Download PDF (170K)
  • Article type: Appendix
    2009 Volume 59 Pages 269-273
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS
    Download PDF (257K)
  • Article type: Appendix
    2009 Volume 59 Pages 274-275
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS
    Download PDF (84K)
  • Article type: Appendix
    2009 Volume 59 Pages 276-
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS
    Download PDF (45K)
  • Article type: Appendix
    2009 Volume 59 Pages 277-
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS
    Download PDF (42K)
  • Article type: Appendix
    2009 Volume 59 Pages 278-
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS
    Download PDF (18K)
  • Article type: Appendix
    2009 Volume 59 Pages App2-
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS
    Download PDF (15K)
  • Article type: Cover
    2009 Volume 59 Pages Cover3-
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS
    Download PDF (44K)
  • Article type: Cover
    2009 Volume 59 Pages Cover4-
    Published: October 17, 2009
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
    JOURNAL FREE ACCESS
    Download PDF (44K)
feedback
Top