Studi Italici
Online ISSN : 2424-1547
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Volume 61
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  • Article type: Cover
    2011 Volume 61 Pages Cover1-
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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  • Article type: Cover
    2011 Volume 61 Pages Cover2-
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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  • Article type: Appendix
    2011 Volume 61 Pages App1-
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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  • YURI HASEGAWA
    Article type: Article
    2011 Volume 61 Pages 1-22
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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    Nel Paradiso della Commedia, Il Primo Mobile e il luogo d'origine dello spazio e del tempo, rappresentati come due realta causa-effetto inscindibili. La scelta dantesca di collocare il Primo Mobile come forza motrice del cosmo ha origine nelle autorita antiche, ma l'idea di conferire ad esso una funzione generatrice del tempo e frutto della conciliazione di vari aspetti di diverse correnti di pensiero, cristiane ed antiche. Il Primo Mobile dapprima viene introdotto da Tolomeo per motivi filosofico-speculativi al fine di spiegare il fenomeno della precessione degli equinozi. Prima di Dante, Sant'Agostino aveva gia affermato che il tempo e misura del moto, ma non aveva impostato l'esistenza del Primo Mobile come luogo d'origine del tempo. Solo in Dante, dunque, il Primo Mobile diventa l'elemento unificatore tra il mondo temporale e il mondo non-temporale che, in funzione del motore secondo una legge naturale-divina, regola l'eterno ruotare dell'Universo attorno all'Empireo. In vari luoghi del Paradiso (Par. X-XIII, XXIII-XXIV, XXVII-XXIX), il moto planetario si configura nei cerchi trinitari dei beati e degli Angeli. Negli studi danteschi, l'interpretazione tradizionale dei cerchi delle anime paradisiache afferma che essi simboleggiano, oltre alla sapienza divina e la fede, la perfezione dell'Universo creato da Dio. I cerchi dei beati vengono assimilati ai congegni dell'orologio meccanico nel cielo del Sole e nel cielo delle Stelle Fisse. In merito a tale similitudine, si pone pero una questione: per quale motivo i cerchi dei beati, simbolo della perfezione divina e dell'eternita, vengono paragonati all'orologio meccanico? La nostra coscienza di moderni percepisce il tempo come un concetto contrastante all'eternita. Il divario che si apre tra la natura del tempo e quella dell'eternita conduce inoltre ad un'altra questione: la rotazione dei cerchi dei beati e puro simbolo della perfezione divina? Per comprendere il rapporto tra l'eternita e il tempo in Dante, e necessario risalire agli autori antichi, in primo luogo a Platone. Il dualismo presente nella cosmologia dantesca tra mondo temporale ed eternita ha origine nel Timeo, che vede le forme del tempo come imitazione dell'eternita. Nella visione platonica, la struttura circolare del sistema planetario riporta eternamente tutti i pianeti nello stesso luogo, ed e proprio dal moto dei cieli che il tempo viene ad essere creato e misurato. In questo modo, nel cosmo platonico, la rotazione dei pianeti e il fondamento dell'Universo e garantisce la somiglianza tra l'eternita e il tempo del nostro mondo. Considerando tutto cio, si puo presumere che questo rappresenti uno dei motivi fondamentali per cui i beati danteschi compiono un movimento circolare. In Sant'Agostino l'immagine mobile dell'eternita, il tempo, non solo imita l'eternita, ma anche l'eterna uguaglianza (aequalitas) attraverso il ritmo del movimento dei numeri, i quali costituiscono ogni elemento delle creature. Il concetto platonico e ben presente nel De musica di Agostino, dove si tratta l'idea di aequalitas come legge suprema dell'ordine del creato. Solo l'aequalitas e in grado di mantenere un collegamento armonico fra tutti gli esseri, a loro volta costituiti dai numeri: tutti i numeri muovono da Dio, motore immobile, a Dio, causa finale. Per Agostino, l'aequalitas e il principio di ogni esistenza: ha origine nell'Empireo, dove rimane "eterna aequalitas", un non-luogo eterno, dove non era e non sara, ma sempre e, in un eterno presente. Secondo Dante (Convivio IV, II, 6), il tempo e "numero di movimento, secondo prima e poi" (Aristotele, Fisica IV). Il tempo nasce dai moti circolari del cielo e viene misurato dall'unita di numero eternamente uguale e invariabile. Da questo concetto si

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  • MAKI MIYASAKA
    Article type: Article
    2011 Volume 61 Pages 23-44
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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    Nella maggior parte delle commedie goldoniane, i personaggi fanno use dell'italiano e del dialetto veneziano. Mentre all'inizio della sua "riforma" teatrale, molti personaggi sulla scena parlavano il dialetto veneziano subendo l'influenza delle Maschere della commedia dell'arte, al momento della pubblicazione, Goldoni scelse di trascrivere in italiano molte espressioni dialettali con l'intento di diffondere le sue opere anche tra i lettori che non comprendevano il veneziano. Questa trascrizione in qualche caso ha portato anche a una certa artificiosita: nella Vedova scaltra (1748) o La bottega del caffe (1750), per esempio, i cittadini veneziani parlano in italiano in un "campo" di Venezia. Questa artificiosita fu pero trascurata dall'autore che non teneva in particolare considerazione la diversita qualitativa tra il veneziano e l'italiano. Per Goldoni, l'italiano poteva essere un linguaggio parlato in Toscana come lo era il veneziano a Venezia ma, rispetto a questo, era piu diffuso tra gli italiani della sua epoca. D'altra parte, Goldoni continuo a scrivere ogni anno commedie veneziane e a metterle in scena per il pubblico veneziano nelle ultime sere di carnevale. Esse si svolgono nel corso del carnevale di Venezia e presentano i personaggi principali che parlano un veneziano piu vicino all'uso quotidiano della gente locale e per questa ragione l'autore non traspose il dialetto in italiano. Il campiello (1756) e una delle commedie veneziane piu conosciute. La protagonista, Gasparina, che ha il vizio ridicolo di pronunziare "z" ([ts]) al posto di "s" ([s]), parla il dialetto veneziano ma qualche volta inserisce nelle sue battute delle frasi in italiano. Poiche nelle commedie di Goldoni, normalmente, ogni personaggio parla solo una lingua, un personaggio che ne usa due, come Gasparina, e un caso eccezionale. Mentre nelle commedie in versi Goldoni aveva di solito adottato i versi martelliani, per Il campiello si servi di versi settenari ed endecasillabi, allo stesso modo dei drammi giocosi per la musica; Il campiello mostra cosi un ritmo musicale piu vicino ai drammi musicali che ad altre sue commedie. Goldoni fu anche uno dei librettisti piu fecondi del Settecento e il bilinguismo di Gasparina potrebbe essere stato influenzato anche dai drammi musicali che utilizzano spesso l'effetto faceto di giochi di parole causati dalla risonanza multilingue. Nel caso di Gasparina, inoltre, la particolarita della pronuncia la rende ridicola, dandone un'immagine "caricata", di ragazza che si vanta di sapere parlare in "tozcano". La sua goffa pronuncia potrebbe essere stata, come ha indicato Pastore Stocchi (Astrazione e opera buffa nel Campiello, in <<L'Arte dell'interpretare. Studi critici offerti a Giovanni Getto>>, Torino, L'Arciere, 1984, 365-381), la pronuncia naturale dell'attrice toscana Caterina Bresciani, interprete di Gasparina. Questo potrebbe indicare che il bilinguisimo del personaggio fosse un'invenzione che Goldoni aveva tratto dalla sua esperienza nel campo dei drammi musicali e di cui si era servito come mezzo espressivo per trarre dal carattere individuale dell'attrice un effetto comico. D'altra parte, il bilinguismo di Gasparina ha un significato anche nell'aspetto linguistico delle commedie goldoniane. Fino al Campiello, come si e detto, non esisteva una differenza qualitativa tra l'italiano e il dialetto nel mondo comico goldoniano, anche se in alcune commedie, attraverso le due lingue, si intende mostrare una differenza di estrazione sociale: per esempio, nella Putta onorata (1749), la differenza fra italiano e veneziano rappresenta il contrasto tra borghesi e barnaboti; mentre nell'Avvocato veneziano (1749/1750), il veneziano e il simbolo dei nuovi ceti intellettuali. Questa

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  • YOSUKE SHIMODA
    Article type: Article
    2011 Volume 61 Pages 45-69
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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    Il rapporto tra realta storica e invenzione e uno dei problemi fondamentali e costanti della riflessione teorica di Alessandro Manzoni (1785-1873). Gli elementi paratestuali che accompagnano le due tragedie testimoniano la resistenza dello scrittore a eliminare la distinzione tra i fatti storici e il frutto dell'invenzione letteraria: due esempi rappresentativi sono la lista dei personaggi nel Conte di Carmagnola (1820) nella quale l'autore divide i personaggi in storici e in ideali, e il Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, un'opera storiografica pubblicata in appendice dell'Adelchi (1822). Inoltre nella premessa del Conte di Carmagnola Manzoni chiarisce il motivo dell'inserimento delle notizie storiche ad apertura della tragedia: Premetto alla tragedia alcune notizie storiche sul personaggio e sui fatti che sono l'argomento di essa, pensando che chiunque si risolve a leggere un componimento misto d'invenzione e di verita storica, ami di potere, senza lunghe ricerche, discernere cio che vi e conservato di avvenimenti reali. L'intento dell'autore e dunque quello di mantenere la distinzione tra fatti reali e inventati. Questo atteggiamento induce a supporre che anche il Manzoni romanziere voglia indicare questa separazione attraverso qualche artificio, e in questo senso un ruolo importante puo essere attribuito alla figura dell'Anonimo, figura che potrebbe infatti essere considerata come segno della presenza di elementi di finzione. Com'e noto, nei Promessi sposi la presenza di un anonimo autore secentesco e del suo manoscritto rappresenta l'espediente per dare attendibilita ai fatti inventati, nella fattispecie la storia "immaginaria" del matrimonio impedito ai due giovani. Sebbene sia possibile supporre che alcuni tra i fatti registrati nel manoscritto siano storici e reali, risulta difficile valutarne la portata, in quanto la parte "storiografica" viene presentata dal narratore ottocentesco o direttamente o con riferimento ad altre fonti documentarie. Nel romanzo, gli avvenimenti raccontati dal narratore "rifacendo la dicitura" del manoscritto anonimo sono pertanto tutti inventati, mentre fuori dalla finzione romanzesca, il fittizio riferimento all'Anonimo potrebbe essere considerato il marchio dell'invenzione. Possiamo ritenere che questa funzione di etichetta sia valida non solo per la storia principale degli sposi promessi e per le narrazioni storiografiche della carestia, della guerra e della peste (e fin troppo ovvio che queste ultime sono verita storica e mentre la prima e puro frutto dell'invenzione), ma anche per le narrazioni piu complesse, come quelle biografiche dei personaggi storici. Occorre tuttavia specificare che la funzione distintiva e diventata valida dopo la revisione radicale delle "bozze": nel Fermo e Lucia, infatti, da una parte l'Anonimo invade il territorio riservato al narratore raccontando alcuni avvenimenti storici e inserendovi i propri commenti, dall'altra alcuni episodi d'invenzione vengono narrati senza alcun riferimento al manoscritto anonimo. Questo lavoro verra in gran parte dedicato al confronto tra gli episodi che riguardano i personaggi storici (Federigo Borromeo, il conte del Sagrato/l'Innominato e la monaca di Monza) nel Fermo e Lucia e quelli nei Promessi sposi. Il confronto tra le due redazioni mostra che nei Promessi sposi la fonte degli eventi e degli avvenimenti inventati e sempre il manoscritto anonimo; d'altro canto l'Anonimo e escluso dalla narrazione dei fatti storici e reali. Il lettore puo distinguere <<cio che vi e conservato di avvenimenti reali>> senza alcuna informazione extratestuale, controllando soltanto se l'Anonimo (che pero in realta non esiste) venga chiamato o meno in causa. In questo modo, escludendo altre eventuali

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  • MAYUKO FUKAKUSA
    Article type: Article
    2011 Volume 61 Pages 71-91
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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    Girolamo Ruscelli, poligrafo viterbese, senza dubbio risentendo dell'influenza del Bembo, si occupo della redazione del capolavoro del Boccaccio. La sua edizione del Decameron fu pubblicata nel 1552 a Venezia presso la tipografia di Vincenzo Valgrisio, corredata della dedicatoria Ai lettori, di note marginali, delle Annotationi aggiunte alla fine di ogni giornata (in cui si spiegavano le norme linguistiche e grammaticali) e del Vocabolario generale. Essa fu poi ristampata net 1554 e net 1557. Nel corso della polemica con Lodovico Dolce, che pubblico il suo Decameron presso Giolito net 1552 e tento di screditare l'edizione di Ruscelli che era ancora in corso di stampa, Ruscelli scrisse nel 1553 Tre discorsi, in cui metteva in discussione il criterio adottato dall'avversario, e preparo De'commentarii della lingua italiana, che sarebbero stati pubblicati postumi nel 1581. V. Branca, pur ritenendo che il Ruscelli fosse <<il piu colto>> dei poligrafi dell'epoca e <<il piu profondo negli studi grammaticali>>, giudica negativamente la sua edizione del Decameron, insieme a quella curata da Dolce, definendolo una <<sconciatura>> del testo. Viceversa, P. Trovato, in seguito alla collazione di alcune novelle con altre edizioni, nota frequenti interventi d'ordine ortografico e interpuntivo da parte di Ruscelli, ma, dato che le modifiche arbitrarie al testo sono poche, ritiene opportuno l'esame di un campione piu ampio. L'analisi sul testo dell'edizione del Ruscelli che si intende condurre in questo lavoro ha lo scopo di fare luce sul metodo filologico e sulle norme linguistiche da questi adottati, al fine di comprendere come valutarne il ruolo nella storia del Decameron in quanto modello della prosa volgare. Per quanto riguarda la correzione del testo, Ruscelli stesso dichiaro' di non aver visto l'autografo di Boccaccio e di avere seguito <<le stampe communi>>, di avere cioe adottato la lectio di molte stampe. Questa affermazione e degna di considerazione perche, nella prima meta del Cinquecento, i curatori del Decameron sostenevano che il testo della loro edizione fosse fedele all'originale, benche in realta spesso "contaminassero" il testo. Secondo P. Trovato e B. Richardson, il Decameron di Ruscelli riproponeva in particolare il testo delle giolitine anteriori al 1552 e anche della giuntina pubblicata nel 1527 a Firenze, testo che e alla base delle edizioni posteriori al 1527, incluse le sopraddette giolitine. Per mettere in chiaro il procedimento del lavoro redazionale compiuto da Ruscelli, esaminiamo qui i suoi riferimenti alle fonti che utilizzo. Ruscelli consulto almeno quattro manoscritti e due stampe antiche, probabilmente incunaboli difficili da identificare; consulto poi una stampa curata da Niccolo Delfino, ma non si puo dire che Ruscelli lo abbia seguito in modo consistente; le giolitine e, come risulta dalla nostra indagine, la giuntina del 1527. Possiamo senz'altro confermare che il Decameron del Ruscelli, se basato sul testo de <<le stampe communi>>, discendeva di conseguenza dalla giuntina. Ma la nostra collazione dell'edizione di Ruscelli con queue precedenti ci mostra come il nostro curatore non assumesse in realta sempre la lezione de <<le stampe communi>>, rifiutando a volte sia quella della giuntina sia quella delle giolitine, ma modificasse il testo seguendo le proprie norme linguistiche. Nel presente lavoro esaminiamo alcuni casi in cui Ruscelli non accetta la lectio comune, ma fa coincidere il testo con la propria prescrizione linguistica: il verbo aiutare; il passato remoto del verbo mettere; la terza persona plurale del congiuntivo presente del verbo essere; la preposizione articolata alle; Dio e Iddio. Per quanto riguarda la preposizione a con l'articolo determinativo maschile plurale, osserviamo che

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  • HIROAKI SUGIYAMA
    Article type: Article
    2011 Volume 61 Pages 93-122
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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    Nel presente lavoro si andranno ad identificare e analizzare i copioni delle sacre rappresentazioni raccolte a Firenze nel Quattrocento. Secondo la tesi generalmente accolta, il pregio principale di questi drammi rinascimentali sarebbe l'effetto scenico spettacolare. Questa tematica e stata lungamente discussa dagli storici dei drammi e delle arti come D'Ancona, Molinari, Damisch e Baxandall. Per quanto si debba riconoscere alle argomentazioni addotte dagli storici l'appropriatezza alla realta dell'epoca, riteniamo che siano tuttavia viziate dalla tendenza a tenere scarsamente conto dei copioni dei drammi stessi. Scopo di questo studio e esplorare le motivazioni dello stato attuale della ricerca. Il primo obiettivo che si intende raggiungere e l'identificazione dei testi che effettivamente furono messi in scena a Firenze nel Quattrocento attraverso i manoscritti redatti in quell'epoca e/o gli incunabuli, cioe gli stampati antichi. Il secondo obiettivo e l'analisi dei testi allo scopo di definire i fondamenti documentari dei presupposti alla base delle ricerche condotte fino ad oggi sulle sacre rappresentazioni. Newbigin ha indicato un'importante differenza fra le letture e i copioni delle sacre rappresentazioni. La studiosa ha formulato l'ipotesi secondo la quale la maggior parte degli stampati religiosi intitolati rapresentazione non venissero rappresentati nelle chiese o nelle piazze, ma fossero invece utilizzati come letture religiose private, sottolineando quindi la necessita di estrarre i copioni autentici nella ricerca concernente le rappresentazioni festive. Condividendo questo punto di vista, accettiamo qui il metodo filologico che considera con attenzione le condizioni esteriori dei testi manoscritti, quello stesso metodo che Newbigin ha avanzato nella sua tesi. Oltre a cio, al fine di identificare i testi con la maggiore precisione possibile, intendiamo rivolgere particolare attenzione alle condizioni interne dei testi stessi, cioe alle battute angeliche, che inducono ad ipotizzare l'esistenza di molti spettatori (cioe di un pubblico formato da cittadini e viaggiatori), nonche alle didascalie, che indicano l'attrezzatura caratteristica della regia delle sacre rappresentazioni. Intendiamo infine tentare un confronto fra la compilazione dei testi manoscritti, raccolta secondo i suddetti procedimenti, e le registrazioni delle rappresentazioni nelle cronache o nei documenti antichi. I risultati di questa collazione dimostrano che qualche repertorio, per esempio quello della Passione e Risurrezione, non esisteva nel gruppo dei testi: a questa mancanza si supplisce attraverso gli incunabuli. Come risultato delle varie fasi in cui il lavoro volto all'identificazione dei testi e stato articolato, riteniamo di aver potuto selezionare in modo affidabile i copioni delle sacre rappresentazioni, dei quali si allega si allega la lista alla fine del lavoro. In base all'identificazione cosi compiuta, si procede all'analisi dei copioni allo scopo di chiarire le caratteristiche, o le funzioni in senso stretto, delle sacre rappresentazioni messe effettivamente in scena. La lettura dei testi ne evidenzia tre: la funzione religiosa, quella didattica e quella spettacolare. Nel considerare la funzione religiosa, troviamo stanze dure e spietate in scene come quella della Passione e dei programmi dei martiri: le esecuzioni capitali, infatti, avrebbero dovuto esortare gli spettatori a pentirsi sinceramente volgendo il pensiero alle pene corporali. Dal punto di vista della funzione didattica, sono particolarmente importanti le scene dei dialoghi fra i nobili e i loro accompagnatori, come il Re e il Cavaliere, il Console e l'Esecutore, il Santo e il Messaggero. La caratteristica delle stanze coincide con le opinioni di storici come Polizzotto e Ventrone, i quali sostengono che le sacre rappresentazioni avrebbero

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  • TOSHIHIDE KURIHARA
    Article type: Article
    2011 Volume 61 Pages 123-146
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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    In questo articolo si indagano caratteri ed effetti delle espressioni riferite al sesso nel Ragionamento di Pietro Aretino, opera che attira molti studiosi interessati alla cultura erotica del Cinquecento e che ha ricevuto particolare attenzione dagli anni ottanta negli "studi di pornografia". Il punto di vista che vede nel Ragionamento l'origine del testo pornografico e suggestivo, ma e inevitabile notare come gli studi che presentano questa ipotesi semplifichino i caratteri delle descrizioni sessuali aretiniane. Lo scopo di questo lavoro e riesaminare gli studi piu significativi allo scopo di offrire una base per gli studi futuri compensando eventuali lacune nella ricerca precedente. Il Ragionamento e un'opera dialogica che si svolge nell'arco di tre giorni. Nel primo capitolo le due protagoniste, Nanna e Antonia, parlano della vita delle monache. Le espressioni riferite alla sfera sessuale vengona presentate attraverso varie metafore. Nanna, la locutrice principale, non usa mai espressioni esplicite, perche sostiene che "l'onesta' e bella in chiasso". Cosa dobbiamo intendere, tuttavia, con "onesta"? Allo scopo di comprendere le implicazioni di questo termine e opportuno fare riferimento al contesto cinquecentesco. Una utile chiave interpretativa ci viene offerta, in particolare, dal testo di Giorgio Vasari. Egli, se da una parte definisce "disonestissimi" i sonetti dei modi, l'altro capolovoro aretiniano, perche contenenti un lessico esplicito, dall'altra loda la Loggia di Psyche di Giovanni da Udine che include rappresentazioni di sesso, perche, afferma, il "capriccio e espresso con tanta grazia". Poiche in entrambe le opere si trovano contenuti di carattere sessuale, e giusto chiedersi da cosa derivi questa disparita di giudizio: la risposta e che la pittura di Giovanni da Udine utilizza metafore vegetali per esprimere contenuti sessuali. In altre parole, l'accettabilita o meno del contenuto dipende dal fatto che vi si fa riferimento senza esplicitarlo, in veste metaforica. L'"onesta" cui Nanna si riferisce e dunque un'astuzia ironica per evitare accuse di immoralita e far rientrare il discorso lussurioso in una veste di irreprensibilita. La seconda giornata, esposta nel secondo capitolo, ha forma boccaccesca ed include dieci episodi novellistici in cui si presentano donne sposate ma infedeli. Nell'incipit della giornata, l'Aurora, moglie di Titone, ha un'avventura con il Sole e suggerisce efficacemente il contenuto del dialogo. In questa giornata, inoltre, si possono individuare intenzioni polemiche nei confronti della dottrina di Pietro Bembo che nelle Prose aveva dichiarato il Decameron modello ideale di prosa volgare. Nanna, tuttavia, si oppone alla superiorita della lingua toscana e, senza tanti giri di parole, dichiara: "lo vo' porre dove mi fu insegnato dalla potta che mi caco". Per la verita, anche nella giornata precedente le due donne avevano parlato del Decameron e in quell'occasione la stessa Nanna aveva sostenuto che mentre le sue parole erano "vive", quelle del Boccaccio erano "dipinte". Per Nanna e importante usare "le parole come elle vengano" e la gravita e la grandezza cui Bembo attribuisce tanta importanza non giocano qui alcun ruolo. In questa giornata, dunque, utilizzando la forma del Decameron e il lessico sessuale, Aretino lancia una sfida al mondo raffinato espresso dalla lingua boccaccesca e petrarchesca. Nell'ultima giornata Nanna narra ad Antonia la vita delle prostitute, ma i lettori non vi incontrano espressioni legate al sesso come nelle giornate precedenti. Questa diminuizione delle espressioni legate all'erotismo riflette chiaramente il progetto dell'autore, poiche secondo Nanna "la lussuria e la minor voglia" che le prostitute possano

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  • RUI KANNO
    Article type: Article
    2011 Volume 61 Pages 147-171
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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    Fra gli intellettuali italiani attivi in un periodo denso di inquietudini come quello degli ultimi decenni del Settecento, spicca la figura di Alessandro Verri (1741-1816). Questi, dopo la breve attivita giornalistico-illuministica nel periodico milanese <<Il Caffe>>, si ritira a vita privata stabilendosi a Roma nel 1767. Il suo nome riappare al pubblico solo quindici anni dopo con il romanzo Le Avventure di Saffo, che conosce un grande successo editoriale grazie allo stile raffinato e al tema carico di pathos. Da un esame della sua impostazione intellettuale, risulta interessante il fatto che il romanziere cercasse di trasmettere una visione pessimistica della passionalita, tema che puo essere individuato anche in altre sue opere. Questa scelta sembra non solo segnare un netto distacco ideologico dalla sua posizione giovanile, ma anche anticipare un tema letterario abbastanza singolare nel contesto culturale dell'epoca: la tragicita delle passioni. Il presente lavoro intende chiarire il processo tramite il quale nel Verri maturo precocemente l'interesse per questo tema, rintracciando i suoi numerosi riferimenti ai sentimenti e alla sensibilita. Contrariamente alla visione pessimistica tipica della fase romana, durante il periodo de <<Il Caffe>> il Verri fu uno dei fautori piu appassionati dell'utilita dei sentimenti, esaltandone i lati positivi allo scopo di attaccare il rigido autoritarismo, soprattutto in campo intellettuale. Il suo "sentimentalismo" non ha un carattere originale, poiche il Verri seguiva la corrente filosofica dell'epoca, ma resta comunque degno di nota il fatto che alcuni dei suoi articoli fossero gia intrisi di una percezione negativa delle passioni umane. Seppure il valore dei sentimenti sia sempre rimasto un fermo criterio di giudizio, il pensiero verriano viene messo alla prova con il viaggio in Europa in compagnia di Cesare Beccaria. Di fronte alle inquietudini del compagno e alle dolorose esperienze relative al contatto con i filosofi francesi, viene concepita via via sempre piu consapevolmente la negativita delle passioni. In tale processo si profila gradualmente la duplicita del suo atteggiamento nei confronti dei sentimenti: esaltazione sul piano teorico e scetticismo su quello pratico. Allo scopo di spiegare lo sviluppo del pensiero verriano, e opportuno prendere in considerazione l'ambiente familiare sotto il cui peso si sentivano oppressi i fratelli Verri: l'avversione all'autorita paterna, infatti, rappresento uno dei motivi piu importanti che li avevano condotti alle attivita illuministiche. Tuttavia, la maturita intellettuale di Pietro contribui fortemente a orientare la presa di posizione del fratello minore, a dispetto della sua intima natura. Numerose espressioni e idee somiglianti negli scritti dei due fratelli attestano la forte influenza ideologica esercitata dal fratello maggiore. Confermata la caratteristica eteronoma del sentimentalismo di Alessandro, sembra naturale che la fede in quel criterio sia venuta meno con il distacco fisico dal maestro e che, nello stesso tempo, ad essa sia subentrata una visione pessimistica peraltro gia latente. Il sentimentalismo verriano attraversa una nuova fase a Roma dove il Verri si innamora della marchesa Margherita Gentili. Inebriato d'amore, decide di non allontanarsi dalla marchesa, compiendo un cambiamento esistenziale dall'impegno civile al conseguimento della felicita individuale. Per giustificare la propria scelta, egli contrappone con insistenza la sublimita dei sentimenti ai suggerimenti razionali di Pietro. La disputa finisce con la vittoria di Alessandro, ma questa non puo che essere effimera e preparatoria al disinganno fatale. L'infedelta della donna amata lo obbliga a ripensare totalmente il proprio giudizio di valore basato sui sentimenti e ad accettarne la falsita. Da un'attenta osservazione

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  • YOKO SHIBUE
    Article type: Article
    2011 Volume 61 Pages 173-193
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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    Gabriele D'Annunzio si trasferisce a Roma nell'autunno del 1881, nel periodo in cui la citta, fino a dieci anni prima circondata da un paesaggio bucolico, va trasformandosi in metropoli ed e pervasa dalla cosiddetta "febbre edilizia". Vari scritti dannunziani testimoniano alcuni aspetti del fervore di rinnovamento della capitale, ed e molto interessante esaminarli, sia per conoscere l'atmosfera della citta alla fine dell'Ottocento, che per indagare il modo in cui le descrizioni subiscono un mutamento nell'ottica dell'autore. In questo lavoro si prendono in esame gli scritti riguardanti la modernizzazione della citta e le osservazioni in essi contenute. Nelle cronache mondane del giornale romano <<La Tribuna>>, D'Annunzio fa riferimento alla nuova Roma, per esempio in occasione dell'apertura del Teatro Drammatico Nazionale. I giudizi del cronista sulle costruzioni moderne sono generalmente severi, a causa della volgarita di esse, se messe a confronto con la bellezza dell'architettura del passato. Egli fa riferimento anche ai lavori in corso qua e la per la capitale, scrivendo che Roma sta diventando "la citta delle demolizioni". A quel tempo, infatti, palazzi, chiese e ville vanno scomparendo per essere sostituiti da nuove costruzioni o nuovi quartieri. Simbolica in tale contesto e la villa Boncompagni-Ludovisi, che si estendeva tra la Porta Pinciana e la Porta Salaria e che viene in gran parte venduta e lottizzata nel 1885 per costruire un nuovo quartiere, includendo via Veneto. Poco prima dell'inizio dei lavori, il poeta dedica alla villa il sonetto intitolato Horti Ludovisii e la menziona anche nelle cronache, deplorando la scomparsa della Bellezza. Questo atteggiamento si accentua ne Il piacere, il primo romanzo scritto da D'Annunzio dopo aver lasciato la redazione de <<La Tribuna>>. Nel romanzo, ambientato a Roma tra 1884 e 1887, anche se le vicende non si svolgono cronologicamente, viene descritto "il grigio diluvio democratico odierno, che molte belle cose e rare sommerge miseramente" e vi viene espresso il grande amore per la Roma barocca, che ha il suo centro in Piazza di Spagna. E proprio vicino alla Piazza, nel Palazzo Zuccari, lo scrittore sceglie, forse simbolicamente, di collocare la residenza del protagonista, il conte Andrea Sperelli. La Roma moderna in fase di costruzione non entra in scena se non per alcuni riferimenti, tanto da far supporre che l'autore voglia deliberatamente ignorarla non ammettendovi la presenza di alcuna bellezza. Parla, invece, delle ville patrizie che nel nuovo sistema postunitario subiscono danni: ad esempio una villa dove Andrea aveva passeggiato con Elena riporta alla mente del protagonista Villa Ludovisi, destinata a scomparire. E la villa Sciarra sul Gianicolo, dove ha luogo il duello tra Andrea e un amico, e "gia per meta disonorata dai fabbricatori di case nuove". La villa apparteneva al principe Maffeo Sciarra II, proprietario de <<La Tribuna>> e mecenate del poeta. Questa presa di posizione e certo da ricercare nel fatto che l'estetismo e l'asse del romanzo e la bellezza e vista come minacciata dalla modernita. Tuttavia, mentre nel romanzo l'ottica si identifica piuttosto con quella dell'aristocrazia, in un momento successivo D'Annunzio guarda la situazione sociale romana in modo piu distaccato. In un articolo su <<La Tribuna>> del giugno 1893, evoca l'atmosfera della "febbre edilizia" dicendo che "sembrava che soffiasse su Roma un vento di barbarie" e torna a menzionare gli argomenti trattati in passato. In questo momento, tuttavia, rappresenta in modo piu comprensivo il cambiamento della condizione della Bellezza, riflettendo che la lottizzazione delle ville e in rapporto con la decadenza della classe aristocratica e facendo

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  • HIDEYUKI DOI
    Article type: Article
    2011 Volume 61 Pages 195-216
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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    Questo articolo prende in analisi una tesi ormai comunemente recepita da lettori e studiosi di Giuseppe Ungaretti: quella dell'influenza giapponese sulla forma breve della prima produzione del poeta. Gia nel 1962 Luciano Rebay, uno dei piu celebri critici ungarettiani, ipotizza una possibile "origine giapponese" di Ungaretti, mentre Atsuko Suga sostiene nel 1981 che i componimenti introdotti da Harukichi Shimoi e Gherardo Marone sulla rivista <<La Diana>>, e letti da Ungaretti, si classificano in stile waka, anziche haiku (chiamato allora haikai in Italia) e si mostrano inoltre come rifacimenti creativi in prosa, ovvero delle "versioni" ben distanti dalla nostra concezione di traduzione. La studiosa insomma non riconosce l'impronta haikaistica nella poesia ungarettiana del primo Novecento. Risalendo agli inizi della questione, cosi come viene dibattuta nel 1933 tra Ungaretti e Enzo Palmieri (critico dell'ex-circolo de <<La Diana>>), Shimoi e Marone iniziano a collaborare per la traduzione delle poesie giapponesi verso la fine del 1915; Marone e il soldato Ungaretti si conoscono per corrispondenza nell'aprile 1916; su <<La Diana>> del mese successivo Marone pubblica per la prima volta le traduzioni dei versi giapponesi della poetessa Akiko Yosano, e di seguito una poesia ungarettiana, Fase, composta in forma alquanto essenziale. In un'apparente coincidenza-in realta meditata con ogni probabilita dalla redazione-questi due poeti, tanto distanti fra loro, vengono riportati consecutivamente sulle stesse pagine. Dunque la produzione poetica di Ungaretti (ripresa un anno dopo l'esperienza lacerbiana) e il lavoro di traduzione di Shimoi-Marone procedono quasi contemporaneamente. Da parte nostra abbiamo alcune riserve nel riconoscere in Ungaretti un'effettiva disposizione a prendere in esame i poeti giapponesi tradotti per la rivista. Nondimeno i letterati de <<La Diana>> sostengono, sin dalle loro prime recensioni a Il porto sepolto (la prima raccolta uscita nel dicembre 1916), un'affinita stilistica tra Ungaretti e i poeti giapponesi, tanto da creare l'etichetta, ancora oggi ampiamente accreditata, "Ungaretti haikaistico": tale definizione e all'origine della polemica del 1933 attorno al poeta ormai pienamente affermato, e nello stesso tempo indignato per il vecchio epiteto attribuitogli. La motivazione per cui Ungaretti tende a comporre in forma breve deriva, in parte, dalla lettura dei poeti giapponesi, ma dall'altra parte e necessario identificare anche un altro importante fattore di influenza nella corrente allora definita "frammentismo", un filone diffuso specialmente tra gli avanguardisti napoletani degli anni Dieci. Nel periodo successivo, il critico Aldo Capasso, il quale conosceva sia il circolo dianiano che Ungaretti, attacca la definizione crociana di "non poesia" a proposito dell'opera di Giovanni Pascoli, valorizzandola invece all'insegna del frammentismo, ossia dello stile haikaistico. Uno dei saggi pascoliani di Capasso, Sulle Myricae del 1935, spinge il giovane poeta Pasolini a concepire una tesi di laurea a sostegno del "particolare" in Pascoli. Nel clima bolognese della fenomenologia anceschiana, in cui intellettualmente si collocava lo stesso Pasolini, il frammentismo prevale come tendenza principale dell'ultima generazione. Tornando indietro di qualche tempo, Luciano Anceschi, allora critico debuttante, si distingue per un articolo su Yosano, le cui opere sono inserite nell'antologia Lirici giapponesi (1927), edizione accresciuta delle Poesie giapponesi (1916) curate da Shimoi e Marone e lette all'epoca con passione da Ungaretti. Ad un esame stilistico-variantistico delle due celeberrime poesie ungarettiane, Mattina, che suona <<M'illumino/d'immenso>>, e

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  • GIULIO ANTONIO BERTELLI
    Article type: Article
    2011 Volume 61 Pages 217-236
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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    L'anno 1868 segno l'inizio di una nuova era per il Giappone: dopo il crollo dello shogunato dei Tokugawa, l'oligarchia che conquisto il potere in nome dell'Imperatore, promosse, con l'aiuto delle potenze occidentali, una serie di riforme politico-istituzionali e sociali che cambiarono radicalmente il Paese. Tali riforme cancellarono in pochi anni ogni traccia del decrepito e corrotto sistema feudale, dando inizio a un rapido processo di modernizzazione e occidentalizzazione, il quale, nel giro di alcuni decenni, trasformo il Giappone in una grande potenza imperialista. Ebbe cosi inizio il periodo Meiji. Ma il 1868 fu anche l'anno in cui si verifico il cosiddetto Incidente di Kobe (in giapponese: Kobe jiken): il 4 febbraio (che corrisponde all'11 gennaio del calendario lunare), successivamente all'apertura del porto di Hyogo, il comandante del corpo di guardia del Principe di Bizen, il quale quel giorno stava attraversando la citta di Kobe, ordino di aprire il fuoco contro alcuni stranieri, colpevoli di aver tagliato la strada alla processione nelle vicinanze del Santuario di Sannomiya (Sannomiya Jinja). Gli stranieri colpiti non furono uccisi, ma soltanto feriti; nonostante cio la rilevanza storica dell'Incidente di Kobe e notevole poiche in tale occasione i rappresentanti del nuovo governo Meiji si trovarono per la prima volta a svolgere negoziati diplomatici con i Ministri delle potenze occidentali. I rappresentanti esteri chiesero ed ottennero in breve tempo la condanna a morte (mediante harakiri, o seppuku, ossia il taglio del venire) di Taki Zenzaburo, l'ufficiale che ordino ai soldati di aprire il fuoco contro gli stranieri. E il Governo Meiji, in occasione dell'esecuzione di Taki, fece in modo che sette rappresentanti di altrettante potenze estere potessero assistere per la prima volta a quella lugubre cerimonia. Uno di loro era un giovane italiano, Pietro Savio (1838-1904), il quale, nonostante non fosse un diplomatico, lavorava in quegli anni come factotum presso il Consolato e la Legazione Italiana (e negli anni successivi si dedichera, come molti suoi compatrioti, al commercio del seme-bachi). Questo volenteroso giovane, che, affascinato dalla cultura nipponica, aveva addirittura deciso di intraprendere to studio della lingua giapponese, subito dopo aver assistito all'esecuzione di Taki, scrisse un breve resoconto manoscritto indirizzato all'allora Ministro Plenipotenziario Italiano in Giappone Conte Vittorio Sallier De La Tour (1827-1904), ed alcuni anni dopo, all'interno di un suo libro pubblicato nel 1875 e intitolato Il Giappone nella sua vita pubblica e privata, torno a soffermarsi su quella vicenda che lo segno cosi profondamente. In questo articolo verranno innanzitutto analizzate le lettere manoscritte (inedite) che il Ministro Italiano in Giappone Conte De La Tour invio a piu riprese al Ministero degli Affari Esteri a Firenze in merito ai fatti di Kobe, la relazione manoscritta (anch'essa inedita) di Pietro Savio sull'esecuzione di Taki e la parte de Il Giappone di Savio riguardante l' harakiri. Sulla base delle suddette fonti primarie verranno messi in luce i seguenti punti: 1) La posizione particolare del Ministro De La Tour riguardo alla decisione presa insieme agli altri rappresentanti diplomatici di chiedere la pena capitale per Taki: egli non si trovava pienamente d'accordo con i suoi colleghi poiche considerava tale punizione troppo severa. Tuttavia, De La Tour, il quale era giunto in Giappone da pochi mesi e non poteva ancora contare sull'appoggio di navi da guerra italiane, non fu in grado di far valere la sua posizione. Si pensa che, dopo l'Incidente di Kobe, De La Tour sia riuscito a convincere il governo italiano a far stazionare una nave da guerra nei mari dell'Estremo Oriente (la prima, ovvero la Principessa Clotilde giungera in Giappone

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  • ALDA NANNINI, MARCO BIONDI
    Article type: Article
    2011 Volume 61 Pages 237-270
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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  • Article type: Bibliography
    2011 Volume 61 Pages 271-303
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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  • Article type: Appendix
    2011 Volume 61 Pages 304-
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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  • Article type: Appendix
    2011 Volume 61 Pages 305-308
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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  • Article type: Appendix
    2011 Volume 61 Pages 309-313
    Published: October 15, 2011
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  • Article type: Appendix
    2011 Volume 61 Pages 314-315
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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  • Article type: Appendix
    2011 Volume 61 Pages 316-
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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  • Article type: Appendix
    2011 Volume 61 Pages 317-
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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  • Article type: Appendix
    2011 Volume 61 Pages 318-
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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  • Article type: Appendix
    2011 Volume 61 Pages App2-
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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  • Article type: Cover
    2011 Volume 61 Pages Cover3-
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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  • Article type: Cover
    2011 Volume 61 Pages Cover4-
    Published: October 15, 2011
    Released on J-STAGE: April 05, 2017
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