Famoso militare e politico, Ettore Viola (1894-1986), noto per la celebre mostra d’arte giapponese al Palazzo delle Esposizioni a Roma nel 1930, viene presentato da nuovi documenti anche come organizzatore della prima mostra d’arte italiana moderna tenutasi a Tokyo nel 1928. Il presente lavoro esamina questo aspetto delle attività di Viola, mettendo in evidenza la graduale modifica ed appropriazione del progetto della mostra d’arte giapponese a Roma da parte della propaganda fascista, fino ad escludere totalmente Viola dal progetto e dall’evento.
In una posizione rischiosa dopo il voto contrario al partito fascista alla camera, Viola si reca in Cile con un passaporto ottenuto con difficoltà, portando con sé, anche su suggerimento del prof. Carlo Siviero (già direttore dell’Accademia di Belle Arti di Napoli), più di 250 quadri di artisti contemporanei romani, napoletani, fiorentini, milanesi e veneziani, che glieli avevano affidati sulla fiducia, rimandandone il pagamento. Qui Viola realizza un’esposizione di discreto successo, ma la vendita dei quadri riesce appena a coprire le spese di viaggio. Si sposta così a San Francisco, negli Stati Uniti, dove il console italiano gli suggerisce di recarsi in Giappone. Vi giunge il 31 marzo 1928 e organizza, con il sostegno dall’incaricato d’affari dell’Ambasciata del Regno d’Italia a Tokyo Leone Weillschott, un’altra mostra nei grandi magazzini Mitsukoshi dal 9 al 15 maggio. Questa mostra riscosse un grande successo e quasi tutte le opere esposte furono vendute.
Tutti i giornali locali, tuttavia, riferiscono che l’ideazione e l’organizzazione della mostra si dovevano al governo italiano: notizia non corretta e di origine ignota, per quanto anche il diario di Naohiko Masaki, direttore della Scuola di Belle Arti di Tokyo, nomini Viola solo come rappresentante del governo Mussolini. È possibile che la notizia sia stata diffusa proprio da Weillschott su pressione del governo italiano. La figura del Duce, è noto, negli anni Venti era particolarmente apprezzata in Giappone e molte opere a lui favorevoli furono pubblicate o rappresentate sul palcoscenico. A una di queste rappresentazioni in un teatro di Tokyo assistette con Masaki lo stesso Viola.
La mostra fu visitata anche da membri della famiglia imperiale e uno di essi, il Principe Asaka, la cui residenza ospita ora il Museo del Giardino (Teien) a Tokyo, acquistò La gondola nuziale di Alessandro Milesi (1856-1945) e Gli usi e costumi del Settecento di Raffaele Zeloni (XIX-XX sec.). Viola, inoltre, regalò all’Ambasciata d’Italia a Tokyo l’Ufficiale di artiglieria a cavallo di Giovanni Fattori, conosciuto come Il carabiniere a cavallo. Poche altre opere oltre a queste sono però identificabili attraverso i documenti a noi pervenuti: Ritratto di donna alla turca di Filippo Carcano (1840-1914), La barca alla costa di Giuseppe Casciaro (1863-1941), Nella palude a Monte Circeo di Giulio Aristide Sartorio (1860-1932), Un campo di Venezia di Giacomo Favretto (1852-1887) e Una giovane al pianoforte di John Singer Sargent (1856-1925).
Lo scambio epistolare iniziato fra Viola e Weillschott una volta lasciata Tokyo, mostra che l’incaricato informa Viola dell’impressione che ha avuto del nuovo Ambasciatore Pompeo Aloisi (1875-1949). Questi aveva accolto con entusiasmo l’idea di una mostra di arte giapponese a Roma proposta da Viola, Weillschot e Terasaki (interprete, studente di pittura all’Istituto di Belle Arti di Venezia all’inizio del secolo). Con una lettera del 31 luglio 1928, Weillschott chiede a Viola di ospitare a Roma a proprie spese il barone Okura, che voleva sponsorizzare la mostra del 1930 e nel cui albergo nel centro di Tokyo Viola era stato ospitato per più di un mese.
Lo scambio epistolare diretto fra Aloisi e Viola risale invece al febbraio 1929: qui si mostra
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