Studi Italici
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CANTO NOVO, SOGNO D’UN MATTINO DI PRIMAVERA E ALCYONE COME CHIAVI INTERPRETATIVE DELLA PRIMA DELLE QUATTRO CANZONI D’AMARANTA DI G. D’ANNUNZIO
KENICHI UCHIDA
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2020 Volume 70 Pages 1-22

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Ben lontana dal ridurre la metamorfosi a semplice espediente per la rappresentazione di scene spettacolari, l’opera dannunziana attribuisce ad essa il ruolo di principio fondante del mondo stesso dello scrittore. La presente analisi mira all’interpretazione della figura enigmatica dell’eroina nella prima delle Quattro canzoni d’Amaranta (1907) in prospettiva metamorfica, seguendo l’evoluzione cronologica del metamorfismo dannunziano.

Questo, basato sulla celebrazione della vitalità della natura, tra le prime opere trova il suo esempio più significativo in Canto novo (1882). Storia d’amore vissuta nel cuore della natura, conduce l’io a descrivere l’amata attraverso similitudini legate al mondo vegetale [II, VII], e a sperimentare nel sogno una metamorfosi che lo trasforma in pianta [II, IX]. Le metamorfosi, ancora incerte nella prima edizione (“Forse ripalpitan vive le driadi antiche [...]?” [I, V]), si mostrano più sicure nell’edizione definitiva del 1896 (“Certo ripalpitan [...].” [CS, VII]), e allo stesso tempo al mondo inorganico e materiale (“il palpito eterno / de la materia” [I, XIII]) viene a sostituirsi quello organico e spirituale (“il palpito eterno del Mondo” [CS, XII]). Con il Mondo (personificato indicandolo con la maiuscola), l’io comunica in una religiosità mistica.

La tradizione attribuisce la genesi metamorfica a un’emozione travolgente e incontrollabile, un episodio unico che non lascia nulla di irrisolto, il che la rende una via di salvezza: di questo d’Annunzio è ben consapevole quando scrive, nel 1892, Felicem Nioben! citando un passo delle Epistulae ex Ponto (I, 2, 31-36) di Ovidio.

Nel poema tragico Sogno d’un mattino di primavera (1897) causa della metamorfosi è la pazzia come mistero che implica salvezza. La protagonista Isabella, resa folle dal dolore per la morte dell’amante, si veste di verde mossa dal desiderio di trasformarsi in pianta e di comunicare con il mondo vegetale attraverso vie mistiche. La metamorfosi di Isabella, così, viene considerata dal medico un mistero della natura vegetante, pari al mito di Demetra e di Persefone. Nell’ultima parte dell’opera Isabella pone sul capo della sorella Beatrice una ghirlanda fatta con un ramo spezzato per dare vita al nuovo amore, atto sacrificale che simboleggia il ciclo perenne della natura.

Alcyone (1903) mostra numerosi spunti ovidiani: le “moderne Metamorfosi” dannunziane, caratterizzate da descrizioni meravigliose del trasformarsi, possono essere interpretate come lodi delle Donne quali personificazioni della vitalità della natura. La parte iniziale è una lode francescana della natura che si trasforma, mentre dopo il Ditirambo I si percepisce l’atmosfera mitica della fusione dell’io e dell’amata Ermione con la natura. Il mondo si fa divino dopo il Ditirambo II: secondo il misticismo della natura, tuttavia, prima di diventare dèi è necessario superare l’esperienza della “negazione dell’uomo”. Simile è l’esperienza vissuta dall’io in Meriggio, mentre ne Il Gombo si trova l’inserzione della tragica metamorfosi di Niobe, trasformata in roccia per il dolore della morte dei figli. I caratteri divergenti delle varie metamorfosi sono ben note a D’Annunzio che ne fa un uso sapiente.

Nel Ditirambo II l’io crede di essere l’incarnazione di Glauco, descrive perciò con immediatezza la meraviglia della metamorfosi, per reinventare però subito dopo la tradizionale storia di Apollo e Dafne con audacia moderna. La Dafne dannunziana, dichiarando appassionatamente l’amore per Apollo, non si trasforma nel lauro, ma nella pianta che dà il titolo al componimento: L’oleandro. L’Estate personificata viene lodata nel Ditirambo III, il mondo divino inizia poi a scomparire, ma all’io è ancora riservato l’incontro con una driade, battezzata genialmente Versilia, con il nome della terra in cui

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