イタリア学会誌
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論文
『神曲』におけるARMONIA
藤谷 道夫
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2015 年 65 巻 p. 1-36

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抄録

Nel 1302, come è noto, Dante fu condannato alla pena capitale ed esiliato da Firenze. Il doloroso episodio della vita del Poeta non può essere estraneo ai luoghi della Commedia in cui vengono presentati tre politici accusati ingiustamente: Pier della Vigna, Pier de la Broccia e Romeo di Villanuova. In questo lavoro, partendo dai testi relativi a questi personaggi, si vuole mostrare come dalle loro dolorose vicende Dante intenda far emergere il concetto di armonia provvidenziale.

In primo luogo, si vuole richiamare alla mente la terzina sui suicidi

 

Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno,

che cacciar de la Strofade i Troiani

con tristo annunzio di futuro danno. (Inf. XIII 10-12)

 

A questo proposito, i commentatori si limitano a citare il virgiliano Aen. III 245-268, ma non procedono a precisare in cosa consista il tristo annunzio. Viceversa, si ritiene importantissimo considerare il modo in cui il presagio dell’Arpia, infelix vates dei destini troiani, sia giunto a realizzarsi: attraverso la terribile fame che constrinse i Troiani a divorare le rose mense prima di poter fondare una città. Il testo virgiliano mostra la realizzazione della profezia nelle parole di Iulo (Aen. VII, 112-119). Il testo dantesco, tuttavia, implica il senso che il triste annunzio dell’Arpia si trasformi in una benedizione, perché contiene in sé anche la conclusione degli affanni del viaggio.

Agli occhi del Poeta, questa vicenda appare legata all’azione della Provvidenza, individuabile anche nella storia di Giuseppe nella Genesi: Dio ha pensato di fare il male servire a un bene, per compiere quello che oggi si avvera (Gen. 50, 20). Le Arpie non sono qui per caso: si pascono delle foglie dei suicidi, simbolo dell’angustia di mente, della miopia dello spirito umano che non sa vedere oltre i propri affanni. Accurato simbolo di questa debolezza umana è Cavalcante padre nel X canto dell’Inferno, in cui emerge proprio la tipicità delle reazioni umane di fronte all’inquietudine arrecata dal pensiero del futuro. I suicidi, nel pensiero dantesco, sono quanti rinunziano al futuro arrendendosi alle difficoltà del presente e abbandonando la speranza e realizzando così la profezia dell’Arpia.

Così anche Dante viator, ammonito da Farinata sul futuro esilio, rimane “smarrito” (Inf. X 125): anch’egli avrebbe potuto subire lo stesso fato, anche se sappiamo che, tanto Farinata quanto l’Arpia, trovandosi all’Inferno, possono aver accesso solo a una conoscenza frammentaria del futuro, essendo ad essi tale conoscenza preclusa nella sua totalità. La colpa del suicida Pier della Vigna è l’aver giudicato e sentenziato per sé la pena di morte, arrogandosi un diritto che spetta solo a Dio, nonostante l’ammonimento che si trova in Tommaso (Summa II-II, q.64, a.5, ad.2) nullus est iudex sui ipsius.

Viceversa, Piero de la Broccia (Purg. VI) subisce la pena di morte affidandosi alla sorte e perdonando i suoi nemici, e per questo trova la salvezza (vv. 19-22), e Romeo di Villanuova (Par. VI) sceglie invece l’esilio e una vita condotta col “mendicare boccone per boccone il pane per vivere” (vv. 112-114; 124-142). In questa prospettiva, vediamo come nelle vicende di questi tre personaggi si racchiudano i tre possibili sviluppi della vita futura di Dante.

Cacciaguida, in Par. XVII, vedendo il futuro del discendente, gli indica la via da percorrere e si riferisce ad essa come dolce armonia (Par. XVII 43- 45). Gli mostra così come l’esilio non sia una maledizione, ma una benedizione e un vero onore, un dono del cielo. Di conseguenza, non si può trascurare di menzionare che la stessa dolce armonia è nominata anche all’inizio della descrizione della vita di Romeo (Par. VI 124-126).

La parola armonia si trova nella Commedia soltanto tre volte e soltanto nel Paradiso. Nel primo canto del Paradiso, Dante proclama che l’armonia

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