イタリア学会誌
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研究ノート
イタリア16世紀の文法記述における接続法半過去と条件法現在の形態
向井 華奈子
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2015 年 65 巻 p. 147-166

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抄録

Nell’italiano contemporaneo, sia la forma della terza persona plurale del congiuntivo imperfetto sia quella del condizionale presente hanno desinenza in -ero. Ma fra la fine del Duecento e il Cinquecento questa regola non si era ancora stabilizzata, e coesistevano numerose varianti: la desinenza -ono (sarebbono, fossono), -eno (sarebbeno, fosseno), -oro (sarebboro, fossoro), ecc.

Nel Cinquecento, questa oscillazione morfologica esercita una chiara influenza sugli scritti grammaticali: le forme della terza persona plurale del congiuntivo imperfetto e del condizionale presente teorizzate dagli scritti grammaticali cinquecenteschi sono infatti differenti da quelle contemporanee. Ad esempio Pietro Bembo (1470-1547), nelle sue Prose della volgar lingua (1525), propone come forma generale del modo condizionale la forma in -ono. Lo stesso Bembo, tuttavia, così come altri grammatici del Cinquecento, registra numerose varianti desinenziali del modo oggi denominato condizionale. Tenendo conto del fatto che il condizionale non esisteva in latino come modo morfologicamente distinto, e che quindi, a differenza di altri modi della lingua italiana, non ereditava dalle trattazioni antiche una forma o un modo d’uso predefinito, era inevitabile che nel Cinquecento, età della codificazione grammaticale, questa forma abbia rivestito un ruolo importante nella discussione grammaticale, dando adito a diverse interpretazioni.

In questo articolo si intende analizzare la posizione tenuta su questa questione dai grammatici del Cinquecento, esaminando l’uso delle desinenze di condizionale e congiuntivo nelle principali opere letterarie scritte nel periodo compreso fra il XIII e il XVI secolo. Riguardo alle opere grammaticali cinquecentesche, si concentrerà l’attenzione in particolare su quattro nomi di particolare rilievo, ovvero Pietro Bembo, Giovan Francesco Fortunio (c. 1470-1517), Gian Giorgio Trissino (1478-1550) e Pierfrancesco Giambullari (1495-1555), che nell’ambito dei dibattiti cinquecenteschi sulla lingua si collocano in posizioni radicalmente diverse l’uno dall’altro. Le teorie di Bembo e Fortunio possono essere ascritte alla teoria classicista, che individuava il modello della lingua italiana nel fiorentino letterario del Trecento, e in particolar modo in Petrarca e Boccaccio, benché le teorie bembiane mostrino più rigore di quelle di Fortunio. La posizione di Trissino, conosciuta come teoria della lingua cortigiana o italiana, negava invece la superiorità del fiorentino e, rimarcando quanto in realtà una lingua illustre come quella elaborata da Dante e Petrarca fosse composta di voci provenienti da ogni parte d’Italia, non limitava le scelte lessicali e grammaticali della lingua letteraria moderna a specifiche regioni italiane. Anche per questa ragione, nella sua Grammatichetta (1529), Trissino, a differenza di altri teorici contemporanei, non fonda la propria teoria sull’autorità di scrittori illustri. Giambullari infine, nelle Regole della lingua fiorentina pubblicate nel 1552, propone come norma la lingua parlata a Firenze, pur usando nelle sue Regole abbondanti esempi tratti dalle Tre Corone.

Le desinenze che esaminiamo sono descritte così:

Per quanto riguarda il condizionale presente, tutti gli autori scelgono la desinenza -ono. Bembo non fa riferimento alla desinenza moderna -ero, che invece tutti gli altri grammatici indicano come desinenza del condizionale. In Bembo e Fortunio si discutono anche le forme -iano o -ieno, e a questo riguardo il primo traccia una netta distinzione tra le desinenze verbali che occorrono rispettivamente in poesia e in prosa. Per quanto riguarda invece il congiuntivo imperfetto, accanto a -ono, -eno, -ino, la prevalenza della desinenza -ero sembrerebbe suggerire che le desinenze -ono e -ero rappresentassero le forme principali per ambedue i modi.

Su queste osservazioni di

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