イタリア学会誌
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論文
ベネデット・クローチェと「イタリア頽廃主義」
國司 航佑
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2015 年 65 巻 p. 87-116

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抄録

Intorno al carattere e al significato del decadentismo italiano, c’è stato un lungo e acceso dibattito a cui hanno partecipato molti studiosi, quali Binni, Praz, Salinari e Ghidetti. In quanto loro testo di riferimento, il saggio di Benedetto Croce Di un carattere della più recente letteratura italiana, pubblicato sulla sua rivista «La Critica» nel 1907, può essere collocato al principio di questo dibattito.

Nello scritto in questione, Croce divide cronologicamente la letteratura contemporanea in due gruppi: il primo (1865-1885) rappresentato da Giosuè Carducci e il secondo (1885-1907) dalla triade Fogazzaro-Pascoli-d’Annunzio. Croce istituisce un confronto fra i due gruppi, per poi asserire che, benché nel periodo più recente la letteratura possieda “la maggior finezza e complicazione spirituale”, tuttavia in essa “spira vento d’insincerità”. A queste seguono parole ancora più aspre ed ironiche: “nel passar da Giosuè Carducci a questi tre sembra, a volte, di passare da un uomo sano a tre neurastenici!”. Nel complesso, il giudizio crociano nei confronti del decadentismo italiano si mostra con evidenza in termini assai negativi.

Sarebbe tuttavia errato ritenere che il giudizio di Croce sia sempre stato tale. Nel saggio su Carducci pubblicato nel 1903 su «La Critica», accingendosi all’esame dell’opera carducciana, Croce riconosce alla letteratura del periodo più recente un valore che non era possibile riscontrare in precedenza, defindolo “ben più serio e sostanzioso di quello che ad esso immediatamente precedette”. Croce, evidentemente, in quell’anno non vedeva ancora elementi discriminanti all’interno della letteratura contemporanea; anzi, attribuiva ad essa una posizione più significativa rispetto a quella del periodo tardoromantico. Inoltre, nel saggio su d’Annunzio del 1904, Croce vede nel poeta “una delle prove più sicure della rinascita di un’arte italiana, la quale ha assimilato, e sa esprimere in modo proprio e originale, le correnti spirituali dell’età moderna”. In queste parole emerge un’opinione molto positiva, incongruente rispetto all’atteggiamento mostrato da Croce nel 1907. Il fatto che a molti studiosi la sua posizione sembri coerente potrebbe essere attribuito a una maggior diffusione dei quattro volumi della Letteratura della nuova Italia (1914-1915), raccolte che sembrerebbero contenere tutti i saggi di critica letteraria pubblicati dal 1903 al 1914 su «La Critica», nella serie Note sulla letteratura italiana della seconda metà del secolo XIX, ma ricordiamo che essi non comprendono il suddetto saggio su Carducci. Inoltre, il capitolo su d’Annunzio si presenta con modifiche non trascurabili: eliminando molti passi elogiativi tra cui quello citato, rende palesemente meno positivo il giudizio crociano su d’Annunzio.

Pertanto, è difficile negare che il giudizio espresso negli anni 1903-1904 contrasti in modo deciso con quello di tre anni dopo. Si può supporre che in questo lasso di tempo si sia verificato qualche avvenimento di gravità tale da indurre Croce a cambiare drasticamente il proprio atteggiamento. Da questo punto di vista, sappiamo che Croce si è dedicato alla ricerca delle opere pascoliane verso la fine del 1906. Non è da ignorare, inoltre, che è di questi anni l’apparizione di alcune opere fondamentali della nuova generazione filosofico-letteraria italiana, fortemente influenzata da d’Annunzio e da Pascoli, che formerà correnti culturali quali il futurismo e il crepuscolarismo.

Nel presente articolo, si prendono in esame innanzitutto i tre saggi crociani sui rappresentanti del decadentismo italiano: Antonio Fogazzaro (1903), Gabriele d’Annunzio (1904) e Giovanni Pascoli (1907). Successivamente, in seguito a un’accurata analisi del saggio del 1907 Di un carattere della più recente letteratura italiana, si cerca di delineare il ribaltamento dell’atteggiamento crociano nei confronti dei

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