イタリア学会誌
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論文
戦後イタリアにおける建築と共産党:1950年代のアルド・ロッシの伝統・リアリズム論の展開
松井 健太
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2021 年 71 巻 p. 1-28

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抄録

Aldo Rossi (1931-1997), uno dei principali architetti e teorici dell’architettura postmoderna, negli anni Cinquanta acquisì, attraverso il contatto con la cultura degli intellettuali del Partito Comunista Italiano, riferimenti, concetti e temi che ne determinarono il successivo orientamento teorico. Qui viene presentato il legame organico tra quei motivi extradisciplinari e lo sviluppo della teoria architettonica di Rossi, mettendo a fuoco lo strano, e pressoché sconosciuto, incontro tra Rossi e l’architettura sovietica come modello di collegamento tra cultura comunista e cultura architettonica e cercando di offrire una prospettiva coerente dello sviluppo teorico di Rossi in quegli anni.

La cultura architettonica, nell’Italia del dopoguerra, manteneva un canale di comunicazione attivo con il Partito Comunista Italiano e Rossi, allora studente della scuola di architettura di Milano, partecipava negli stessi anni alle conferenze del partito e contribuiva alla rivista ufficiale. La Commissione Culturale, organo ufficiale del Partito, che interveniva in modo deciso in ambito pittorico e letterario, non era altrettanto manifestamente presente in ambito architettonico, lasciando uno spazio che Rossi cercò di colmare infondendovi la propria teoria.

Il trasferimento in campo architettonico del dibattito culturale interno al Partito indusse Rossi a concentrarsi sui temi di tradizione e realismo: nel dopoguerra, il movimento moderno aveva guardato con interesse al tema della tradizione come possibile fattore di rafforzarmento e accelerazione, ma nella visione di Rossi esso rappresentò un elemento di radicale trasformazione: la tradizione, in questo senso, fu interpretata nell’ambito della discussione sul passaggio “dal neorealismo al realismo” avanzata dai critici del Partito dell’epoca.

Per la teoria di Rossi su tradizione e realismo, foriero di un orizzonte specifico per l’architettura fu l’incontro con l’architettura stalinista durante il viaggio a Mosca. Le architetture urbane del Realismo socialista e gli ornamenti classici che il movimento moderno in architettura aveva cercato di cancellare offrivano a Rossi uno spunto per la riflessione teorica, secondo cui rivoluzione ed elementi architettonici tradizionali potevano coesistere. L’esperienza indusse Rossi a progettare un articolo che esaltava l’architettura stalinista come alternativa al movimento moderno per la rivista comunista Società, che non fu però mai pubblicato. L’architettura stalinista, d’altra parte, fornì alla riflessione di Rossi non solo termini di riferimento concreti ma anche problematiche complesse, come la critica del “superfluo” nell’architettura accademica sovietica, sviluppata da Nikita Khrushchev alla fine del 1954. Il leader della nuova U.R.S.S. si appellava all’industrializzazione, uno dei principi del movimento moderno in architettura, il che fu percepito in Italia come un ritorno al movimento dell’architettura russa, in contrasto con l’elogio tessuto da Rossi verso l’architettura stalinista, nel tentativo di interpretare la critica al superfluo di Khrushchev in chiave diversa dal ritorno all’architettura moderna o dalla critica dell’architettura stalinista.

Le speculazioni di Rossi su tradizione e realismo culminarono infine, grazie al consiglio dei redattori di Società, in un articolo sull’architettura neoclassica milanese del XVIII e XIX secolo, che approfondiva l’ambito teorico dei temi presentati dal Partito Comunista Italiano e i problemi posti dall’architettura sovietica: l’architettura neoclassica milanese è definita come sintesi di due razionalismi, risposta al problema sollevato dall’architettura sovietica sull’adeguata interpretazione della valutazione della monumentalità e della critica del superfluo in modo coerente e senza contraddizioni. La discussione di Rossi sulla tradizione

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