イタリア学会誌
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研究ノート
モラヴィアの『順応主義者』にみる同性愛表象
柴田 瑞枝
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2023 年 73 巻 p. 103-127

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抄録

Nel 1951 Alberto Moravia pubblicò il suo ottavo romanzo, Il conformista, ispirato alla vicenda dei fratelli Rosselli. La critica dell’epoca si dimostrò piuttosto ostile verso l’opera, principalmente perché l’ottica della narrazione era capovolta e presentava un delitto dal punto di vista di un fascista. Moravia però sottolineava che non aveva scritto il libro “per” i fratelli Rosselli, bensì “su” di loro: l’intento non era né quello di scrivere una storia agiografica, né di esaltare il movimento antifascista dei suoi cugini.

Lo scrittore afferma che Il conformista è basato sull’equazione: «il protagonista è fascista perché omosessuale». Osserva che «un fatto che ha un valore negativo su di un piano individuale si tramuta (o si crede che si tramuti) in positivo sul piano collettivo». Il giovane Marcello, ragazzo insicuro e tormentato da un aspetto e un carattere quasi “femminei” e da impulsi sadici verso gli animali, a tredici anni spara e crede di aver ucciso Lino, uno chauffeur che gli si era avvicinato con la promessa di regalargli una rivoltella, prima di tentare di abusarne sessualmente. Marcello resta traumatizzato dall’evento, credendosi destinato a essere un assassino, e per questo, sentendosi più che mai “anormale”. Spinto dal desiderio di essere uguale agli altri e di nascondersi nella massa, si conforma al fascismo, che all’epoca rappresentava la normalità. Normalità che si manifesta anche nel tradire a morte il suo ex professore, Quadri, fuoriuscito a Parigi.

A una prima lettura, l’autore fa supporre che sia l’orrore della consapevolezza di essere un omicida a spingere Marcello ad abbracciare il fascismo. Tuttavia, attraverso un’analisi dettagliata del testo, emerge che in realtà, la profonda paura del protagonista nasce dall’accettazione della sua omosessualità latente, soprattutto davanti ai suoi seduttori. Quando Lino gli chiede di ammazzarlo, Marcello, pur provando verso di lui odio e una irresistibile ripugnanza, si sente quasi obbligato ad accontentarlo e gli spara; reazione che in parte si manifesta di nuovo verso la fine, quando l’incontro con un anziano signore britannico riaccende in lui la paura di dover ammettere di essere omosessuale attivando il suo lato violento.

Anche le sessualità di Giulia, la moglie di Marcello e della signora Lina Quadri, le due principali donne della storia, sono altrettanto “anormali”. Giulia si rivela essere stata vittima di stupro e poi amante dello stupratore per ben sei anni, completamente in contrasto con quella normalità tanto desiderata da Marcello, che continua a sfuggirgli anche quando si innamora di Lina, che è lesbica.

Il ritorno di Lino nell’epilogo fu spesso contestato dai critici per la sua inverosimiglianza, ma la decisione finale di Moravia di lasciarlo nell’ultima stesura del romanzo implica la sua importanza: Lino non era morto come credeva Marcello, e l’uccisione di Quadri non aveva risolto nulla. Dopo il presunto omicidio di Lino, che coincide con la scoperta della sua latente omosessualità, Marcello aveva fatto di tutto per conformarsi agli altri. Ma quella normalità tanto bramata e ricercata da lui, in realtà non esisteva. Le parole dette quasi casualmente da Lino, «tutti la perdiamo la nostra innocenza, in un modo o nell’altro... è la normalità», colpiscono profondamente Marcello, il quale a quel punto si rende conto di aver sbagliato il cavallo su cui puntare e decide finalmente di lasciarsi tutto alle spalle e iniziare a vivere. È interessante, a questo punto, osservare come il suo sincero pensiero si indirizzi per la prima volta verso un’altra persona, cioè verso sua figlia Lucilla, per la quale il protagonista sogna una vita completamente libera dalla «sanguinaria pedanteria che fino a ieri aveva informato il suo destino». Alcuni critici hanno cercato giustizia, o una sorta di “morale della favola” nel finale

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