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クエリ検索: "サクロ・モンテ"
6件中 1-6の結果を表示しています
  • 金原 由紀子
    日本の神学
    2019年 58 巻 174-179
    発行日: 2019/09/25
    公開日: 2021/08/25
    ジャーナル フリー
  • 大野 陽子
    イタリア学会誌
    2005年 55 巻 131-156
    発行日: 2005/10/22
    公開日: 2017/04/05
    ジャーナル フリー

    Il Sacro Monte di Varallo e stato fondato da un francescano osservante, Bernardino Caimi, con lo scopo di riprodurre i Sacri Luoghi palestinesi per coloro che non potessero recarsi in Terra Santa. Attualmente e costituito da una basilica e da 45 cappelle popolate da statue policrome ad altezza naturale che rappresentano la vita di Cristo, in ambienti completamente affrescati. Questa configurazione e il risultato di una molteplicita di interventi realizzati dall'ultimo decennio del Quattrocento fino alla meta dell'Ottocento. In questo lungo corso di tempo, veniva persa la maggior parte delle cappelle costruite all'epoca della fondazione. In questo articolo ho ricostruito i mutamenti dell' interpretazione data dai pellegrini riguardo alle due stazioni superstiti, che esprimono il progetto originario : la cappella detta della Madonna del Riposo sulla salita verso il santuario e la Fontana del Cristo Risorto collocata al centro della cima. La prima guida sul Sacro Monte pubblicata nel 1514 descrive la Fontana come l'ultima stazione, dalla cui vasca si innalza la statua del Cristo, a lato del quale scaturisce un ruscello d'acqua. Questa raffigurazione allude al sangue misto con l'acqua che esce dal ventre di Cristo quando egli e crocifisso. Nelle esegesi bibliche quest'acqua viene identificata con la fonte dell'acqua viva, simbolo della salvezza, che sgorga nella Gerusalemme Celeste descritta nell'Apocalisse giovannea. La Madonna del Riposo ricorda l'episodio, raccontato anche nella Legenda Aurea, della Vergine che si soffermo per riposarsi mentre si recava in pellegrinaggio in tutti i luoghi della Passione dopo l'Ascensione di Gesu. Secondo le descrizioni quattrocentesche della Terra Santa, presso il Monte Oliveto i pellegrini visitavano il luogo di questo episodio. Pero a Varallo la Madonna del Riposo non si trova sul Monte Oliveto. Considerando che a Gerusalemme i francescani guidavano i fedeli in processione alle varie cappelle disposte nella chiesa del Santo Sepolcro per commemorare i luoghi della Passione e Resurrezione di Cristo e sottolineare i dolori della Madre, sembra che la collocazione della Madonna del Riposo quale prima stazione possa significare l'invito ai credenti a meditare sulla morte e sulla Passione di Cristo, imitando la Madonna. Alla seconda meta del Cinquecento, la realizzazione del santuario era affidato alla Fabbrica composta dai vicini varallesi, non ai frati. I fabbricieri assunsero l'architetto Galeazzo Alessi per riordinare le cappelle. Nella sua pianificazione cristologica egli sottolineo il significato simbolico della Fontana, mentre non menziono piu la Madonna del Riposo situata fuori dalla cinta di mura costruite da lui stesso per rimarcare la "Nuova Gerusalemme". Sebbene Alessi non abbia potuto perfezionare tutti i suoi progetti, le interpretazioni della Fontana e della Madonna del Riposo furono certamente influenzate da questo cambiamento. In alcune guide del santuario pubblicate nel '500 e nel '600, la Fontana era inserita nella sequenza dei fatti successivi alla Risurrezione, non presentata come l'ultima meta del pellegrinaggio. Cio sarebbe dovuto all'influenza del progetto alessiano di riordinare le cappelle secondo la narrazione evangelica, perche i pellegrini potessero seguire la vita e la Passione di Cristo e riconoscere il soggetto di questo santuario, cioe Redenzione del Salvatore. Nella guida pubblicata nel 1611, l'autore consigliava di bere l'acqua della Fontana per avere la vera salute, enfatizzando che l'acqua sarebbe efficace nelle "infermita' non solo del corpo, ma ancora dell'anima". Riferendosi all'acqua come al rimedio per l'anima egli vorrebbe evocare il vero significato del pellegrinaggio. Ma gli innumerevoli ex voti offerti dai pellegrini chiariscono che a quei tempi i visitatori

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  • -アルド・ロッシ「モデナ墓地」における立方体シェマの設計論的起源-
    片桐 悠自
    日本建築学会計画系論文集
    2021年 86 巻 781 号 1147-1153
    発行日: 2021年
    公開日: 2021/03/30
    ジャーナル フリー

     Aldo Rossi was obsessed with the schéma of cube, according to Lobsinger (2002), from Resistance Monument in Cuneo (1962, collaborated with Gianugo Polesello and Luca Meda), via Modena Cemetery (New San Catardo Cemetery in Modena, 1971-1980s), to Teatre del Monde (1979-1980).

     The study detects the origin of architectural design process of schéma of the cube in Modena Cemetery designed by Aldo Rossi. Considering the cube as “sanctuary” in the text titled “L’azzurro del cielo” (1971) directly named after the novel “Le Bleu du Ciel” written by Georges Bataille, the cube was realized in 1980s and rendered as ossuaries. Interestingly, Rossi kept the schéma of cube with square windows aligned in the grid, before the announcement of the competition of “Modena Cemetery” in May 1971.

     In Section 1, it deals Rossi’s self-analysis with drawing in the seventh volume of I quaderni azzurri (The Blue Notebooks, the reprinted diaries of Rossi, “QA07 ” as below). Judged from QA07, the architect developed the process after the self-analysis on architectural forms by drawings. In June 1971, Rossi had reckoned inner experience of the architectural elements titled “elementi dell’ architettura analitica (elements of analytic architecture)”, before designing for the competition. He exercised inner experience of the image elements, which he put importance for the design. Then he found the element of the cone, and rendered it into geometrical compositions of caffeterie [coffee pot], which was associated with his Catholic childhood in the village Somasca.

     In “elementi dell’ architettura analitica”, Rossi did not refer to the element of the cube. However, he had drawn two cubes holed with square-windows in December 1969 and February 1970.

     Section 2 shows that, Rossi drew the cube with the square windows named “il cubo scavato” in QA04. On 12 February 1970, recalling Tomb of Eurysaces the Baker, Rossi associated the cube with excavated windows with former works of him, such as Monument in Cuneo and Fountain in Milan (1962).

     Moreover, the presage of that cube was also found in QA02. On 1 December 1969, Rossi drew the cube which resembled Monument in Cuneo synthesized with square windows of Gallaratese Housing Block. The two architectures seemed to be synthesized into the cube with courtyard open to the sky, and the schéma of cube remained from 1969 to the realized cemetery.

     In Section 3, it deals “L’azzuro del cielo”, where Rossi explained the cube and cone as dominant elements in the whole project. According to The Architecture of the City, Rossi explained that the holy place for Catholic had been associated with “locus”, which consists the collective memory for the people. Considering his Marxist position as architect and Catholic education in his childhood, Rossi regarded the dead as “class”, opposite to the “living” class. The inner experience of the protagonist of the novel of Bataille visioned “the blue of the sky” in the night, was rendered to the inner experience of Rossi with drawing in QA.

     In that meaning, the cube excavated to the sky had correspondence with the title “L’azzuro del cielo”. Through the courtyard of the cube open to the sky, the dead surrounded living people with surrealistic presence. With the primarily geometrical forms, he tried to mediate the class struggle between the dead and the living people.

  • 片桐 悠自
    図学研究
    2022年 56 巻 1 号 3-11
    発行日: 2022年
    公開日: 2023/04/01
    ジャーナル フリー
     本研究は,建築家アルド・ロッシの手記における内的な設計プロセスの醸成としての設計論的発展について分析を行う.たとえばロッシは,「モデナ墓地」を設計する際に「〇△□」の図式を禅画から抽出し,建築意匠設計の形式の変化に伴う「シェマ」の変化を彼の手記『青のノート』に記していた.1972年に設計された「ファニャーノ・オローナの小学校」へと至る過程は手記でシェマの発展が段階的に記され,最初に『青のノート』11巻で初期案として現れる.この初期のスタディでは「モデナ墓地」から発展させられ,円形を頂点に置いた3本の十字をおいた配列が変容し,軸線を残して中庭が作られ,「宮殿形式」の配置が示される.その後,1972年5月-7月にかけて,ロッシが基本設計の決定案における設計シェマを確立し,初期案と決定案に「十字のシェマ」を,平面図式を変更させながらも,一貫して建築設計に適用したことが示された.
  • ─キリシタン美術とトレント公会議後のイタリアにおける聖像崇敬─
    児嶋 由枝
    イタリア学会誌
    2015年 65 巻 167-188
    発行日: 2015年
    公開日: 2017/03/27
    ジャーナル フリー
    電子付録

    Nel Museo dei Ventisei Martiri della città di Nagasaki si conserva un kakejiku (pittura su rotolo di carta) denominato Madonna della Neve, tramandato dai cristiani clandestini della zona di Sotome, in provincia di Nagasaki. Questo dipinto è stato attribuito a uno o più discepoli di Giovanni Cola, pittore e gesuita originario del Regno di Napoli e fondatore di una sorta di accademia di Belle Arti in Giappone. I discepoli di Cola, per rispondere all’incremento della richiesta di immagini sacre da parte dei cristiani giapponesi, riproducevano immagini di incisioni o di pitture portate dai missionari dall’Europa. Nelle epistole e nelle relazioni eseguite dai Gesuiti in Giappone si legge che i discepoli di Cola erano così bravi che anche gli occidentali facevano fatica a distinguere gli originali portati dall’Europa dalle copie eseguite in Giappone.

    Il nome autentico del gesuita-pittore, tuttavia, non risultava registrato con chiarezza, essendo indicato talvolta nei documenti e registri della Compagnia sotto varie forme, quali ad es. Niccolò, Nicolao, Nicolaus e Cola. Dalle ricerche eseguite sui documenti consultabili presso l’Archivio diocesano di Nola, sua città natale, risulta però che il nome esatto deve essere Cola. Sembra inoltre molto probabile che questi, prima del suo ingresso nella Società di Gesù, abbia lavorato a Napoli come apprendista presso la bottega di Giovanni Bernardo Lama, sempre di Nola.

    Sul titolo Madonna della Neve pesano poi diversi dubbi e a tale proposito sono state avanzate varie proposte, che sembrano concludere che il titolo originario sarebbe stato Immacolata Concezione oppure Madonna con Cristo dormiente. Tuttavia, alla luce delle analisi iconografiche, storiche e religiose, è ragionevole affermare che il titolo autentico sia stato effettivamente Madonna della Neve. Nel periodo della Riforma cattolica o Controriforma, infatti, la Chiesa tendeva ad esaltare le immagini taumaturgiche ereditate del periodo medioevale, quale ad es. l’icona denominata Salus populi romani di Santa Maria Maggiore a Roma e la Madonna della “Antigua” della Cattedrale di Siviglia.

    A questo si aggiunge il fatto che in Giappone permangono anche tracce, risalenti allo stesso periodo, che sembrano indicare la venerazione della Madonna della Neve. Per esempio, a Sotome, dove si trovava la Madonna della Neve attualmente conservata a Nagasaki, si tramandava tra i cristiani clandestini una storia miracolosa, giapponesizzata, che riguardava la Madonna della Neve. All’arrivo dei gesuiti nell’isola di Iki nel 1578, inoltre, la prima messa venne celebrata proprio il 5 agosto, ricorrenza della Madonna della Neve.

    Interessante è inoltre il confronto che mette in luce aspetti affini fra la Madonna di Nagasaki e una tavola raffigurante la Madonna col Bambino dell’altare maggiore della Chiesa Madre di Francofonte in provincia di Siracusa. La similitudine riguarda non l’aspetto stilistico ma quello compositivo e permette di evidenziare come anche le parti danneggiate del dipinto siano quasi uguali. La tavola di Francofonte, eseguita nel Quattrocento, venne venerata come Madonna della Neve solo dagli anni Settanta del XVI secolo a causa di un miracolo legato alla neve. È significativo il particolare della storia secondo il quale già allora la tavola aveva subito gli stessi danni visibili oggi. La copia di questa tavola doveva quindi imitare anche queste parti: nel periodo della Riforma, infatti, anche i danni presenti sulle immagini miracolose del Medioevo erano considerati importanti.

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  • ─『婚約者』と17世紀絵画のリアリズム─
    霜田 洋祐
    イタリア学会誌
    2019年 69 巻 23-48
    発行日: 2019年
    公開日: 2021/01/23
    ジャーナル フリー

    «Del Manzoni siamo perfettamente d’accordo: eccellente pittore, benché fiammingo» scrisse in riferimento ai Promessi sposi all’indomani della pubblicazione Pietro Giordani, nel settembre del 1827, in una lettera all’amico Francesco Testa. Un paragone simile, ma con connotazioni positive, si trova in una lettera di Antonio Cesari: «nel colore, nella forza, nell’espressione tuttavia vale assai: nelle pitturette fiamminghe è maraviglioso; come altresì nel toccare le passioni, gli affetti e movimenti tutti del cuore, fino a’ più minuti, mi par gran maestro». Questi commenti permettono di collocare l’opera manzoniana nel contesto della storia letteraria europea del primo Ottocento, periodo in cui i critici dell’epoca paragonarono allo stesso modo romanzieri di altri Paesi come Jane Austen, Walter Scott, Honoré de Balzac ed altri a pittori fiamminghi o olandesi (senza prestare particolare attenzione ai differenti caratteri delle due scuole). I romanzi di questi autori, pur nella loro diversità, a confronto con quelli dei secoli precedenti, hanno però ad accomunarli nuove caratteristiche, e sono queste ad indurre la critica coeva a illustrarne i comuni riferimenti alla pittura olandese o fiamminga, categoria che tuttavia include anch’essa un gran numero di opere molto diverse tra loro.

    Muovendo da questa “etichetta” attribuita a molti e diversi romanzi del primo Ottocento, questo lavoro intende in primo luogo confermare la presenza, nel romanzo manzoniano, di numerosi aspetti presenti nei romanzi europei cosiddetti “realisti”. Per quanto questa affermazione possa sembrare banale, è stata tradizionalmente impiegata quasi esclusivamente in senso retrospettivo, attraverso cioè analisi comparative con i romanzi francesi, considerati i prototipi del “realismo”, palesatosi in seguito all’enorme successo dei romanzi scottiani e dopo I promessi sposi. Senza limitarsi a questo primo aspetto, però, questo esame cerca di individuare anche le caratteristiche particolari che distinguono l’opera manzoniana dagli altri romanzi ottocenteschi.

    In primo luogo, attraverso lo studio di R. B. Yeazell sul rapporto tra la pittura olandese e il romanzo realista, Art of everyday: Dutch painting and the realist novel (2008), ed esaminando discorsi e recensioni che mettevano in relazione autori come Austin, Scott, e Balzac con i pittori olandesi, si procede all’analisi di modi e caratteristiche di cui si avvalse la critica in questo confronto. L’accostamento non può, comunque, essere considerato semplicemente una felice trovata dei critici: corretta è infatti l’osservazione di Yeazell che alcuni autori abbiano riprodotto intenzionalmente nella prosa lo stile descrittivo degli olandesi. La posizione manzoniana sembra però in qualche misura discostarsi da questa tendenza: se da un lato lo scrittore non si è mai mostrato come conoscitore d’arte, dall’altro è noto l’impegno con cui si è dedicato all’ottenimento di una documentazione esatta e minuziosa che gli consentisse una resa quanto più storicamente realistica della rappresentazione dell’Italia settentrionale del passato. Il romanzo, inoltre, è ambientato nel Seicento, ovvero il secolo d’oro della pittura olandese, in cui spiccano anche altrove pittori “naturalisti” come Velázquez e Caravaggio.

    Il susseguente richiamo al recente lavoro di Daniela Brogi (Romanzo per gli occhi, 2018) intende evidenziare il profondo rapporto individuabile tra I promessi sposi e i dipinti caravaggeschi (soprattutto quelli che rappresentano temi religiosi) nella figura del cardinale Federico Borromeo e della cultura controriformistica da lui impersonata. Qualora nel romanzo manzoniano siano rintracciabili evocazioni delle opere caravaggesche, certamente questo ne può rappresentare un carattere distintivo rispetto agli altri romanzi europei del primo Ottocento.

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