Studi Italici
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  • LORENZO AMATO
    2023 Volume 73 Pages 1-26
    Published: 2023
    Released on J-STAGE: November 15, 2023
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  • SULL’INTERPRETAZIONE DEL «DE SUMMO BONO»
    KANAKO HAYASHI
    2023 Volume 73 Pages 27-48
    Published: 2023
    Released on J-STAGE: November 15, 2023
    JOURNAL FREE ACCESS

    Il presente studio analizza le contrastanti rappresentazioni della “campagna” nel poema filosofico De Summo Bono dello statista e poeta fiorentino del XV secolo Lorenzo de’ Medici (1449-1492), e cerca di chiarire l’atteggiamento di Lorenzo verso la “vita contemplativa” e la “vita attiva” attraverso un’indagine comparativa con il pensiero del suo tempo. Il rapporto fra conflitto e armonia tra “vita contemplativa” e “vita attiva” è un tema fondamentale del pensiero occidentale, discusso attivamente fin dall’antichità. Nel XIV e nella prima metà del XV secolo, a Firenze fiorisce l’umanesimo, e gli umanisti partecipano attivamente all’amministrazione comunale. Tale partecipazione porta a un crescente interesse di questi ultimi per la vita civile, o “attiva”. Tuttavia, nella seconda metà del XV secolo, nell’amministrazione comunale fiorentina si rafforza la base di potere del partito mediceo, e coloro che si trovano costretti a ritirarsi dalla politica riaffermano la supremazia della “vita contemplativa”, pur sostenendo l’ideale della “vita armoniosa”, applicabile sia alla “vita contemplativa” che alla “vita attiva”. Anche il pensiero neoplatonico ficiniano, che si era diffuso a Firenze a partire dagli anni Settanta del Quattrocento e collocava la vera felicità nell’altro mondo, fu uno dei fattori di recupero del primato della “vita contemplativa”.

    Il De Summo Bono, opera del 1473, quindi inseribile in questo contesto storico, si colloca in un momento di svolta nella carriera letteraria di Lorenzo. La discussione sulla “vita contemplativa” e sulla “vita attiva”, sviluppata nel terzo capitolo dell’opera, indica l’influenza delle Disputationes Camaldulenses di Cristoforo Landino. Inoltre, il nocciolo dell’opera laurenziana, ossia la considerazione del “bene” e l’ode del capitolo 6 sono fortemente ispirati alle opere di Marsilio Ficino. Prendendo come indizio la relazione tra le opere dei due autori sopraccitati e il De Summo Bono, gli studi finora svolti sostengono che il De Summo Bono esalti la “vita contemplativa”, ma quando si esaminano nuovamente i topoi della “contemplazione” e dell’ “attività”, ossia la “campagna” e la “città”, diventa chiaro che il De Summo Bono non si limita semplicemente a un’esaltazione della “vita contemplativa”.

    Nel primo capitolo di questo studio l’autrice intende mettere in luce le modalità d’uso dei concetti di “contemplazione” e di “attività” nelle opere di Lorenzo e si propone di verificare che la richiesta rivolta a lui dai suoi (per esempio da Landino e Ficino) fosse quella di incarnare la “vita armoniosa”, ovvero l’ideale del suo tempo. In seguito, per dimostrare che l’enfasi sulla “contemplazione” costituisce la base del De Summo Bono, si chiarisce la tendenza alla “contemplazione” di Lauro, il protagonista cittadino a cui Lorenzo si sovrappone nel primo capitolo dell’opera, nel quale il dialogo tra Lauro-cittadino e Alfeo-pastore si svolge in “campagna” (capitolo 2-1). Successivamente, si intende esaminare la tendenza dell’autore Lorenzo proiettata sul personaggio Lauro, già chiarita nel capitolo 2-1, alla luce delle correnti di pensiero fiorentine degli anni ’60 e ’70 del Quattrocento. Infine, analizzando la descrizione della “città”, ovvero il topos dell’“attività” nella scena in cui i personaggi si danno l’addio alla fine del capitolo 5, si intende mettere in luce l’atteggiamento consapevole di Lauro-Lorenzo nei confronti dell’“attività”, finora trascurato negli studi precedenti.

    Attraverso l’analisi di cui sopra, il presente studio intende mettere in evidenza innanzitutto come l’autore Lorenzo, che può essere identificato come Lauro nel De Summo Bono, in questo poema cerchi di mostrare alle persone che lo circondano (Landino, Ficino e gli altri medicei) il suo entusiasmo e la sua conoscenza della speculazione filosofica, o “contemplazione”.

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  • AYA YAMASAKI
    2023 Volume 73 Pages 49-71
    Published: 2023
    Released on J-STAGE: November 15, 2023
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    In questo articolo si analizza il romanzo Non luogo a procedere di Claudio Magris e il modo con cui l’ironia magrisiana vi si manifesta.

    Il romanzo racconta il mistero che avvolge il campo di concentramento nazista Risiera di San Sabba a Trieste durante la Seconda Guerra Mondiale. Le recensioni pubblicate in Italia hanno messo in evidenza il gran numero di cimeli di guerra descritti nell’opera, sostenendo che tali oggetti ne costituiscono il motore narrativo. Ciò che emerge da queste descrizioni è tuttavia il tema dell’assenza, della scomparsa e della morte, che può essere espressa solo come una sparizione. Il tema della sparizione compare verso la metà del romanzo, che sembra “rovesciarsi come un guanto”: la scomparsa e la morte si tramutano in scoperta e vita. Ci si domanda che cosa implichi questa trasformazione. Si ipotizza che essa possa essere legata al concetto di ironia, a cui Magris fa spesso riferimento nelle sue opere. Si intende quindi esaminare il concetto magrisiano di ironia, dimostrando che il romanzo nel suo complesso ne è un’incarnazione ed è strutturato su di essa.

    Il romanzo è suddiviso in diverse cornici narrative. Nella cornice più esterna si svolge la storia della narratrice Luisa, che si occupa dell’allestimento di un museo e sta catalogando un gran numero di appunti scritti da un eccentrico collezionista, il fondatore del museo, chiamato soltanto “lui” nel romanzo. Nella seconda cornice viene raccontata la vita di quest’ultimo, reale protagonista del romanzo. Nella terza cornice vengono descritte le didascalie dei manufatti bellici che “lui” ha raccolto e che saranno esposti nel museo. È infine presente una quarta cornice narrativa, in cui vengono raccontate le storie del passato associate a quei reperti.

    All’interno di questo labirinto, in cui compaiono vari episodi a più strati, la seconda cornice, la storia di “lui”, racconta il mistero dei suoi diari scomparsi, in cui, si diceva, “lui” trascrivesse i nomi dei collaborazionisti rintracciandoli tra le scritte lasciate dai detenuti sul muro della Risiera. Chi sono i collaboratori che i quaderni scomparsi avrebbero dovuto accusare? Chi sono i portatori di morte e gli artefici della sparizione dei quaderni?

    Si è già accennato al fatto che il tema della morte, presente nella prima metà del romanzo, viene invertito nella seconda. Esiste infatti un episodio, proprio a metà romanzo, che funge da cerniera tra le due parti dell’opera.

    Il ribaltamento del tema della morte in quello della vita avviene, infatti, con il capitolo intitolato “Soldato Schimek”. Qui si descrive il mito di una morte eroica, costruito intorno a un disertore, e la sua vita effettiva, tutt’altro che eroica, rivelata dall’indagine sulla verità di quel mito. L’episodio mette in evidenza due elementi importanti del romanzo di Magris. In primo luogo, la storia di Schimek è perfettamente in linea con l’idea magrisiana di ironia; in secondo luogo, questa storia rappresenta la struttura del romanzo nel suo complesso, come una mise en abyme in uno stemma araldico.

    Per quanto riguarda la prima caratteristica, l’ironia magrisiana consiste, anzitutto, nell’atto di rimuovere la falsa immagine che cela l’immagine reale, liberando così quest’ultima. Successivamente, l’immagine rivelata viene ripensata in un contesto più ampio per comprenderne il carattere umano. Questo è esattamente ciò che l’autore Magris ha fatto nel capitolo “Soldato Schimek”.

    Per quanto riguarda la seconda caratteristica, cioè la mise en abyme dell’intero romanzo, si è detto che nella seconda metà dell’opera si assiste di fatto a un’inversione tematica dalla morte alla vita. Qui vengono rappresentati vari aspetti delle persone che hanno vissuto la guerra, come i carnefici, i collaboratori dei carnefici, i partigiani che hanno fatto la Resistenza e coloro che hanno dato la caccia, dopo la

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  • CATEGORIZZAZIONE E LESSICALIZZAZIONE IN PROSPETTIVA TRANSLINGUISTICA
    ALDA NANNINI
    2023 Volume 73 Pages 73-102
    Published: 2023
    Released on J-STAGE: November 15, 2023
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  • MIZUE SHIBATA
    2023 Volume 73 Pages 103-127
    Published: 2023
    Released on J-STAGE: November 15, 2023
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    Nel 1951 Alberto Moravia pubblicò il suo ottavo romanzo, Il conformista, ispirato alla vicenda dei fratelli Rosselli. La critica dell’epoca si dimostrò piuttosto ostile verso l’opera, principalmente perché l’ottica della narrazione era capovolta e presentava un delitto dal punto di vista di un fascista. Moravia però sottolineava che non aveva scritto il libro “per” i fratelli Rosselli, bensì “su” di loro: l’intento non era né quello di scrivere una storia agiografica, né di esaltare il movimento antifascista dei suoi cugini.

    Lo scrittore afferma che Il conformista è basato sull’equazione: «il protagonista è fascista perché omosessuale». Osserva che «un fatto che ha un valore negativo su di un piano individuale si tramuta (o si crede che si tramuti) in positivo sul piano collettivo». Il giovane Marcello, ragazzo insicuro e tormentato da un aspetto e un carattere quasi “femminei” e da impulsi sadici verso gli animali, a tredici anni spara e crede di aver ucciso Lino, uno chauffeur che gli si era avvicinato con la promessa di regalargli una rivoltella, prima di tentare di abusarne sessualmente. Marcello resta traumatizzato dall’evento, credendosi destinato a essere un assassino, e per questo, sentendosi più che mai “anormale”. Spinto dal desiderio di essere uguale agli altri e di nascondersi nella massa, si conforma al fascismo, che all’epoca rappresentava la normalità. Normalità che si manifesta anche nel tradire a morte il suo ex professore, Quadri, fuoriuscito a Parigi.

    A una prima lettura, l’autore fa supporre che sia l’orrore della consapevolezza di essere un omicida a spingere Marcello ad abbracciare il fascismo. Tuttavia, attraverso un’analisi dettagliata del testo, emerge che in realtà, la profonda paura del protagonista nasce dall’accettazione della sua omosessualità latente, soprattutto davanti ai suoi seduttori. Quando Lino gli chiede di ammazzarlo, Marcello, pur provando verso di lui odio e una irresistibile ripugnanza, si sente quasi obbligato ad accontentarlo e gli spara; reazione che in parte si manifesta di nuovo verso la fine, quando l’incontro con un anziano signore britannico riaccende in lui la paura di dover ammettere di essere omosessuale attivando il suo lato violento.

    Anche le sessualità di Giulia, la moglie di Marcello e della signora Lina Quadri, le due principali donne della storia, sono altrettanto “anormali”. Giulia si rivela essere stata vittima di stupro e poi amante dello stupratore per ben sei anni, completamente in contrasto con quella normalità tanto desiderata da Marcello, che continua a sfuggirgli anche quando si innamora di Lina, che è lesbica.

    Il ritorno di Lino nell’epilogo fu spesso contestato dai critici per la sua inverosimiglianza, ma la decisione finale di Moravia di lasciarlo nell’ultima stesura del romanzo implica la sua importanza: Lino non era morto come credeva Marcello, e l’uccisione di Quadri non aveva risolto nulla. Dopo il presunto omicidio di Lino, che coincide con la scoperta della sua latente omosessualità, Marcello aveva fatto di tutto per conformarsi agli altri. Ma quella normalità tanto bramata e ricercata da lui, in realtà non esisteva. Le parole dette quasi casualmente da Lino, «tutti la perdiamo la nostra innocenza, in un modo o nell’altro... è la normalità», colpiscono profondamente Marcello, il quale a quel punto si rende conto di aver sbagliato il cavallo su cui puntare e decide finalmente di lasciarsi tutto alle spalle e iniziare a vivere. È interessante, a questo punto, osservare come il suo sincero pensiero si indirizzi per la prima volta verso un’altra persona, cioè verso sua figlia Lucilla, per la quale il protagonista sogna una vita completamente libera dalla «sanguinaria pedanteria che fino a ieri aveva informato il suo destino». Alcuni critici hanno cercato giustizia, o una sorta di “morale della favola” nel finale

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  • CHIHIRO TAKESHIGE
    2023 Volume 73 Pages 129-149
    Published: 2023
    Released on J-STAGE: November 15, 2023
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    La ricerca sul Risorgimento italiano in Giappone iniziò nel periodo Meiji. Innanzitutto, le ricerche sul Risorgimento svolte fino agli anni ’70 sono state raccolte e riassunte da Tetsuro Morita, un importante studioso che si è occupato a lungo della storia d’Italia, soprattutto durante e dopo la seconda guerra mondiale. Gli anni ’60 e ’70 furono infatti il periodo in cui la storiografia giapponese cercò di superare la storiografia del dopoguerra, iniziando a prendere in considerazione lo studio della storia popolare e dei movimenti operai. Morita ha indicato come punto di partenza della sua nuova ricerca sul Risorgimento lo studioso Atsushi Kitahara. Da allora sono passati circa 50 anni, e nel frattempo il modo di scrivere la storia e di fare ricerca sul Risorgimento in Giappone è profondamente cambiato, influenzato dagli eventi e dalle trasformazioni che si sono verificate in questo periodo.

    Pertanto, in questo articolo esamineremo le ricerche svolte in Giappone sul Risorgimento dal dopoguerra al 2020 suddividendo questo periodo in cinque fasi, e cercando di chiarire come esse si siano sviluppate e quali tendenze mostrino. Nella presente indagine l’autore presterà molta attenzione al significato della parola “Risorgimento”. Esaminando i cambiamenti avvenuti nell’interpretazione del suo significato, l’autore intende chiarire la consapevolezza degli storici giapponesi in merito ai problemi della loro epoca.

    Nelle ricerche sul Risorgimento svolte nel periodo prebellico, le ricerche sul repubblicanismo di Mazzini si sono sviluppate dal punto di vista del confronto tra il pensiero mazziniano e il romanticismo tedesco nell’ottica della Restaurazione Meiji. E mentre nel secondo dopoguerra le riforme pro-democrazia progredivano, si riteneva che la teoria dei doveri di Mazzini si avvicinasse alle tendenze dell’epoca.

    La ricerca sul Risorgimento svolta in Giappone dal dopoguerra in poi viene spesso considerata parte del processo di modernizzazione e viene analizzata dal punto di vista della storia comparata. Inoltre, i limiti del Risorgimento vengono evidenziati dall’influenza del marxismo, e il Risorgimento è stato interpretato come un fenomeno diverso dalla riforma sociale incompiuta che era considerata un problema in quel momento: esso viene infatti interpretato come un movimento volto a creare uno Stato unificato.

    In seguito alla revisione della storiografia del dopoguerra, verrà lanciata la storia dei movimenti sociali, che esplora le nuove frontiere della storia. Influenzata da quest’ultima, la storia della ricerca del Risorgimento che è stata scritta negli anni ’70 inizia a vedere le rivolte del 1848 come movimento popolare. E sono fiorite le ricerche dei democratici.

    Quando la storia sociale fu introdotta in Italia negli anni ’80, Atsushi Kitahara introdusse la teoria della “sociabilité”, e a partire dagli anni ’90 nacquero molti altri studi che investigavano gli eventi della storia d’Italia nell’ottica della storia sociale.

    Per quanto riguarda Mazzini, c’è uno studio che analizza il rapporto che egli aveva con i movimenti sociali in Inghilterra durante il suo esilio, nonché la rete di comunicazione tra Mazzini e i radicali britannici allo scopo di fornire assistenza umanitaria e attività educative agli italiani in esilio. Inoltre, sono stati svolti studi mirati ad analizzare il Risorgimento nelle periferie e in un ampio e lungo lasso di tempo, con particolare attenzione verso gli immigrati.

    Attraverso tali ricerche viene riconfermato il fatto che la formazione di uno stato unitario è stato il maggiore traguardo del Risorgimento, tuttavia, il Risorgimento non rappresentava solo il problema dell’unificazione nazionale, ma anche molte altre sfaccettature.

    Parallelamente, dalla fine degli anni ’80, sono state condotte ricerche mirate a sottolineare la funzione del moderno stato-nazione,

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