Questo saggio si propone di analizzare l’effetto dei proverbi utilizzati nella raccolta di fiabe Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de’ peccerille (1634-36) di Giambattista Basile (1575?~1632), un autore napoletano, e di esaminare come la società napoletana e la società letteraria dell’epoca abbiano influenzato quest’opera. Considerato “il più bel libro italiano barocco” (Croce 1982: XL), Lo cunto è “una delle fiabe più antiche registrate in una forma vicina all’originale e in una forma completa” (Torii 1989: 53). L’opera è scritta in forma di cornice narrativa, con dieci storie raccontate ogni giorno per cinque giorni. Inoltre, alla fine di ogni giorno, dal primo al quarto, è inserita un’egloga, un poema dialogico mirato a fare satira sociale pungente. Oltre al pessimismo che appare in queste egloghe, Lo cunto, pieno di descrizioni sessuali, scatologia e parodie della letteratura classica, può essere considerato come letteratura per adulti piuttosto che un’opera di “intrattenimento per bambini”.
Nella seconda metà del XVI secolo, la letteratura in lingua toscana trecentesca iniziò a conquistare l’egemonia letteraria. La lingua toscana si diffuse lentamente anche a Napoli, e le opere in napoletano divennero meno numerose. Poiché la sua lingua madre come lingua scritta rischiava di estinguersi, Basile iniziò a produrre opere in napoletano con un amico, Giulio Cesare Cortese (1570?~1646?). È in questo contesto che Lo cunto fu scritto, e la scelta della lingua napoletana per l’opera aveva implicazioni importanti, che vanno oltre la semplice sperimentazione letteraria. Così, ne Lo cunto, dove la lingua napoletana riveste una grande importanza, i proverbi, con la loro struttura caratteristica (ellissi, rime, antitesi, ecc.) e la loro concisione sono la chiave per trasmettere al massimo la vivacità del dialetto napoletano parlato. Il fatto che i proverbi incarnino la lingua napoletana parlata si può evincere dal fatto che circa il 60% dei proverbi ne Lo cunto sono inseriti nel discorso diretto di narratrici e personaggi, sovrapponendosi al tono della lingua parlata. Nei secoli XVI e XVII, c’era un crescente interesse per gli adagi e i proverbi, rappresentato da opere come gli “Adagia” di Erasmo (1500). Pertanto, l’uso frequente dei proverbi ne Lo cunto non era di per sé insolito, ma in quest’opera, Basile, utilizzando i proverbi citati da diversi libri a fini ironici o moralistici, mette in luce anche i proverbi appartenenti al “napoletano parlato”. I proverbi, veri e propri concentrati di saggezza popolare, sono sparsi nell’opera con una frequenza non inferiore a quella delle citazioni da opere classiche.
Uno studio sul Lo cunto che si focalizza sui proverbi è quello di Speroni (1941), in cui il suo autore elenca i proverbi e le locuzioni proverbiali, riportando i risultati ottenuti dal confronto con altre fonti. Tuttavia, essendo tale studio basato principalmente nell’elencare le varie forme di ciascun proverbio, esso non giunge ad affrontare il ruolo che ogni proverbio assume nel rispettivo contesto. D’altra parte, Rak (Basile 2011: 63-66) ha osservato che i proverbi hanno la funzione di manifestare la cultura popolare in linea con la struttura dell’opera, sottolineando l’importanza dei proverbi introduttivi e conclusivi che esprimono morali. Tuttavia, se i proverbi fossero usati solo per esprimere morali o elementi di cultura popolare, sarebbe sufficiente collocarli solo nelle frasi introduttive e conclusive.
In questo saggio, l’autrice si impegna a chiarire le molteplici funzioni dei proverbi, finora trascurate dalle ricerche precedenti, e a mettere in luce il tema coerente dell’opera attraverso l’analisi dei proverbi. Nel
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